Chiudiamo l'anno con l'amaro in bocca. Poco da gioire, a fortiori se per conoscere Clint Eastwood e la sua filmografia, sin dal 2009 bisogna transitare per "Invictus" (i supereroi italiani precisano "L'invincibile"). Biopic intriso dei sentimenti, centrifugati disneyanamente, cari al regista. Pietra tombale sullo spessore artistico, quindi cerebrale, culturale, del westerner mai cresciuto.
Già nel soggetto, del corrispondente londinese in Sudafrica, John Carlin (classe 1956, elemosinatore seriale di biografie), la meschina e fatturante retorica che fa impazzire il regista californiano. [nella storia il lavorone dello sceneggiatore sudafricano Anthony Peckham, due lire anche lui!] Se non bastasse il titolo del romanzo: "Ama il tuo nemico (Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game that Made a Nation)". I mean...anche solo voler provare ad accostare le lotte di emancipazione di una popolazione sotto apartheid, fa male al cuore. E al cervello, quello del pubblico. Povero cinema, senza colpevolizzarlo: i film di Clint Eastwood fanno fare passi indietro all'umanità, proprio perché esiste ancora una distanza tra film buono e buonista. Mentre bianchi, sinceri o meno democratici, si passavano una pezza di cuoio in stadi costruiti sulla pelle dei segregati di sempre, secondo Eastwood Mandela si tormentava per legare la libertà tra i popoli e una partita del cazzo (Clint, se non c'è la suspense, la inventa: l'aereo: vomito guardando gli sbirri sospirare). Oddio, da uomini di stato ci si può aspettare di tutto...da un regista serio no.
(depa)
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