In chiusura anno, Terry Gilliam si è intrufolato nel Cinerofum. Lo ha fatto con la pellicola, forse, più celebre del regista di Minneapolis, ex Monty Python. "L'esercito delle 12 scimmie" (t.o. "12 Monkeys").
Ispirato alla fantasiosa gettata di Marker, la terra nel 1997 verrà colpita da un'epidemia alla quale sopravviverà l'1% (5 miliardi di vittime). Sotto terra, vi saranno però alcuni prigionieri "volontari", pronti a risalire al settimo piano psichiatrico. Ma la superficie sarà degli animali. Mica male, dopotutto…
Il nostro, noto per "arroganza, vilipendio e spregio delle autorità", parteciperà ad un "esperimento nuovo" ("riduzione di pena"). "E' stato ieri che alla follia di oggi" ci ha preparato". "Chi non consuma da bravo cittadino, è un malato di mente". Critiche a raffica, affascinanti, in un film anti-vivisezione, animalista ("forse l'umanità si merita di essere eliminata"). Imprigionato dal sistema, scoprirà qualcosina da fulminati e paranoici (oggi dicono "complottisti"), per poi scegliere di non intervenire, tanto questo è il migliore.
Alla fine della fiera suggestiva, quello che avrebbe potuto essere un cult, si è rivelato un abbaglio. In un mero "beneficio del dubbio" (indice dei tempi) agli imperativi della Scienza. Si recupera e conserva in quel "meglio il presente che il futuro" cui non riesce a staccarsi un cinema ancora ferito dalle rumorose illusioni post-sessantottine. Una storia d'amore, anche, come quella ispiratrice, doverosamente ruotante attorno alla spianata d'un terminal aeroportuale. Un Gilliam finalmente "commerciale e creativo", quindi, in un film spettacolare, intrigante, ambiguo.
(depa)
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