Ulteriormente nel deserto del Nordeste brasiliano, come indicatoci da "Foglio", Elena ed io ci siamo trovati, tra reietti, nell'arido sertao. Davanti a noi la dissacrante e ritmata visionarietà di Glauber Rocha (1939-1981). Nome che supplica da anni nella vetrina del "Libraccio", d'un altro autore latino che chiede conto a santi e comandanti. Fanatismo per dominio, in salsa tipicamente colonialista. "Il dio biondo e il diavolo nero", 1964.
"Estoria, dialogos y direçao" tutti di questo dirompente autore della Bahia, scomparso per covid alla mia età. Geraldo Del Rey, Maurício do Valle e Antônio das Mortes Othon Bastos. Trinità che scuote Santi e Monti. Tempi duri, ma un miracolo dal cielo...Su Rosa!
La legge è dalla parte del padròn Morales, dinanzi al quale il medesimo stupore di altri Zé. Manoel è diventato diavolo. Mentre un cantore accompagna le misere e ribelli gesta dell'orfanno assassino, altre annunciazioni di libertà per i diseredati. Illusioni. Tuonano gli spari. Altri patti, e patta, tra Dio e Diavolo.
Liricissimo al limite del sogno: oni-lirico. Per la spada di San Giorgio contro i possidenti (già scazzi tra Antonio dei Morti e o Santo Guerreiro), si trascina Manoel pel suo sertao sfibrato. Gli scudi salgono, tra dolciniani post-literam ed estasi sul Monte Santo. Ma la storia continua, ecco Corasco! Si finirà coll'essere devoto a chiunque. Con tutta l'amara un po' determinista disillusione di un brasiliano privo di guerriglieri e rivoluzioni, una provocante pellicola su autorità e repressione, insomma potere ("Tu no saie quanta danne ca fa"). Lo stile sporco pulito di Rocha, ripreso da cileni polacchi e altri, è da provare. "Che la terra è dell'uomo, né di Dio, né del Diavolo".
(depa).
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