Quel fine settimana ineccepibile era stato inaugurato con una mezza sorpresa. Perché conoscevo la cifra stilistica di Pietro Marcello, vero. Ma lo shock è grande nel vedermi gonfiare per un regista contemporaneo italiano. Ignorata la sua ultima escursione nella grande letteratura americana, non ho schivato l'ultimo lavoro del poetico autore casertano, che, sulle pagine d'un romanzo russo, stavolta, trova le emozioni adatte alle sue rime, luci e colori per la sua strabiliante sensibilità registica. "Le vele scarlatte" (t.o. "L'Envole"!) è un'antica poesia per gli occhi.
Dal romanzo di Aleksandr Grin (1880-1932), un racconto che quei colori e sonorità, trasposte a migliaia di costa più a Ovest, non pare dimenticare. Come la recente dan-islandese, anche questa di Marcello è una pellicola che pare arrivare da anni lontani (Mikhalkov). Bellezza in ogni direzione, che risente appena dell'incursione di Louis Garrell. Fotografia disarmante in un film anche contro il riarmo. Il nostro Raphel non è il soldato che ritorna in pompa magna, ma uno degli altri, che preferiscono non parlare. Piuttosto che tutto il resto.
Parecchi punti forti. Le interpretazioni, dei due protagonisti, pour example. Il gigante buono è Raphael Thiéry, indimenticabile come la prima quercia. Personificazione materica di un dolore. Un silenzio che punge, anche noi. Da un dolore, una consolazione. Una figlia, con cui combattere ipocrisie e senofobie. Lei è Juliette Jouan, scoiattolo vorticoso, senza remore (classe 2002). Liberi. Di vivere, gioire, ferirsi, costruire, oziare. Il fascino del film sta soprattutto, quindi, nel riuscire a non cadere, a non scivolare nel prevedibile, quindi infimo, quindi odioso, tema romantico non supportato da una visione (come il pd! ahahah). "L'envol", invece, è solido e compatto come un bisogno di libertà cui non si può, sa e vuole rinunciare.
A fine visione, Elena ed io innamorati di tutto.
(depa)
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