Salta un cinema, se ne fa un altro. La Ele va a seguire un corso di cucina? Ad ognuno il suo. Come un topo ballerino, rovisto nel tunnel scavato nello zoccolo della Sala Valéry, scovando l'imperdibile. Secondo episodio della Trilogia dedicata alla Guerra Antifascista realizzata da Roberto Rossellini, "Paisà", del 1946, è un affresco multiforme che copre tutto lo strazio di una terra incancrenita dalla guerra.
Sbarco, nel Luglio del '943. Poi, su, su, oltre Roma, lottando da Napoli a Firenze, sostando in Emilia, per poi resistere nella laguna veneta (quelle canne in primo piano...). Un soggetto che potrebbe risultare frammentario, inficiando l'armonia e l'intensità del racconto, se non fosse che a questo hanno lavorato autori come Amidei, Fellini, Pratolini e lo stesso Rossellini, e che, grazie alla sensibilità di quest'ultimo, divengono gocce di distillato neorealismo, un poetico mosaico di dolore ("Nobody knows my sorrow...") e spinta vitale. La logorante fase di Liberazione dalla truce occupazione tedesca e dall'infame accanimento fascista, raccontata attraverso episodi vigorosi, nel dramma e nelle immagini di un paese martoriato (la corsa nella Galleria degli Uffizi, oltre che coraggiosa ridiscesa alle buie profondità, è agognata e liberatoria risalita dall'apnea). La domanda che tutti si pongono da anni (ma che minchia sto dicendo?) riguardo alla sua Trilogia sulla Guerra è: "Meglio il Rossellini romanziere o quello novelliere?". Basta vedere questi tre film per comprendere quanto l'avverbio dialettale, posto in corsivo tra parentesi, poco sopra, sia ponderato. Queste novelle brevi restituiscono materiale compatto formidabile, struggente e accorato, per sentire quell'Italia popolare che fu travolta e non s'arrese.
(depa)
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