Venerdì scorso mi è capitato di rimanere a Milano, quindi mi sono detto "Beh allora andiamo un po' a vedere questo 'Nina' che già da un po' di tempo viene proposto all'Oberdan". Questa pellicola del 2013 è l'opera prima della regista romana Elisa Fuksas, classe 1981, figlia d'arte di cose strane dal nome "archistar"...
Che il film d'esordio della giovane regista abbia risentito dell'influsso della professione dei genitori è evidente lungo tutto l'arco della pizza. Anche dell'esperienza da lei maturata nel campo dei documentari, certamente. Geometrie precise e altisonanti, Roma EUR, potenza architettonica, purezza di marmo, eleganza solitaria nella canicola agostina. Va riconosciuto alla regista di saper confezionare immagini e momenti piacevoli, che accompagnano lo spettatore, rilassandolo o rintuzzandolo di quando in quando; dalla pellicola passa l'angoscia, segue la solitudine; la mancanza di contatto e la particolarità di ogni carattere (di qualunque animale) si appoggiano alla fotografia di una Capitale affascinante (poiché) vuota.
Ho intravisto, in "Nina", qualcosa di più del vuoto esercizio cinematografico, giocattolino borghese che mette in mostra sé. Ma i minuti passano e lo spettatore chiede il conto. Ripeto, non ci si infastidisce, perché alcune "trovate" sono davvero apprezzabili (le bolle nel colonnato, giochi di specchi nel negozio di animali e tanti altri sketch), ma come lo erano tante originali pagine delle Smemoranda di alcune mie compagne di classe. Un film che emana uno strano odore di primi esercizi, non sbagliati, ma che potrebbero andare avanti all'infinito; è come una sequenza di lettere ben allineate sul quaderno delle elementari, arriverà il "bravissimo" della maestra. Ma poi bisognerà passare alla classe successiva.
Insomma, ammetto di aver passato 80 gradevoli, ma riconosco anche che manchi di sostanza per dare carne alle belle immagini e anima alla dolce protagonista (Diane Fleri).
(depa)
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