L'enfant

Recensione LXIV:
Cinerofum esiliato dalla sala Uander per la prima serata del festival di San Remo. Quale disfatta. Ma con quale orgoglio, a testa alta, i tre ragazzi (Depa e i due Albert) si sono riuniti, come carbonari, in sala Blauzer, per portare avanti, imperterriti, la propria missione, figlia di passione e celluloide! Ritornano nelle nostre sale, come hanno fatto solo pochi altri, i fratelli Dardenne; dopo "Rosetta", ci porgono un'altra Palma d'Oro, datata 2005: "L'enfant".
Il loro cinema, già commentato nella recensione di "Rosetta", continua ad entusiasmare in "nostri" spettatori. A fine film, tutti soddisfatti dell'ora e mezza passata assieme, ad accumulare emozioni, riflessioni e un po' di rabbia in varie salse. Albert Monzy, individualista come deve essere un monzambanese, indirizza il proprio mirino più sulle colpe (sull'idiozia?) del protagonista, incapace di prendere "la vita per le corna". Depa, magari solo per un senso del pudore maggiore, piuttosto che per costruzione più spiccatamente "socialista", filtra le proprie istintive considerazioni con un'interpretazione che tenda a scoperchiare tutte le incongruenze ed inadeguatezze di una società che, quantomeno, non è in grado di raddrizzare esistenze cresciute un po' storte (sempre che questo sia vero...che gli storti siano i protagonisti di questo bellissimo film, intendo).
Ma, a parte le sfumature ideologiche, sulla qualità della pellicola concordiamo: ritmo incalzante dall'inizio alla fine; la telecamera non tampina i protagonisti per mero esercizio stilistico, non è solo un modo per raccontare in maniera "sfrondata", ma anche per dettare il ritmo cardiaco dello spettatore. In "Rosetta" il solo guizzo musicale fu la demo-tape di batteria del venditore di frittelle, qui è l'autoradio che avvolge un abitacolo ovattato con le note di una musica classica (scena tremendamente angosciante: ossimoro di dolci note e tragedia minacciata, per fortuna non realizzata), come a ribadire che: aperta la portiera, altro che flauti e clarinetti...
I protagonisti, Jérémie Renier lui, Déborah François lei (esordiente, classe '81), sanno far propri atteggiamenti, reazioni ed espressioni di due cittadini come tanti, sbranati e gettati tra le ossa scartate dalla società; società che perde i connotati di astrattezza e impalpabilità, quando la si misura con il metro dell'ingiustizia; quando la si osserva con gli "occhi dal basso".
Altra scena che rimane impressa è quella dell'inseguimento finale: e quando quello scooter curva sulla destra, rivedo nitidamente, seppur specularmente, Vittorio Cataldi che va incontro al suo destino...
Grandi Dardenne.
(depa)

1 commento:

  1. Vittorio Cataldi è Vittorio Cataldi.
    I franzosi sono franzosi.
    Questo film lo vidi ai tempi. Mi ricordo che è fatto molto bene, ma la storia in se mi sembrò molto "poca".

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