Requiem for a dream

Incontro XXVII:
Per il ventisettesimo appuntamento, film del ciclo "tempi moderni", per spezzare un po'. In sala solo  io, Elena ed Albert Aporty...Albert Monzy arriva quando, sullo schermo, il dado è gettato ormai lontano.
Il film: "Requiem for a dream", del regista americano Darren Aronofsky (2000).
Questo film mi ronzava nelle orecchie da quando uscì nelle sale...dei miei amici. Con lungimiranza e spirito critico, ormai consolidati, la grande distribuzione italiana dona alla connazionale intorpidita borghesia una devota prova di censura. Non uscì al cinema, ma si consegnò al pubblico via peer-to-peer, ricordo bene i KazAa che sfornavano bit su bit.
Ed alla fine, l'ho visto: ne posso parlare con gli amici; condividerne reazioni e riflessioni.
"Requiem for a dream" è il secondogenito dei quattro film di questo Aronofsky. Ho visto l'anno scorso "Pi - Il teorema del Delirio" (1998) e il recente "The Wrestler" (2008) e tutti e due, per motivi differenti, sono due film da vedere (il primo più ambizioso che concludente, il secondo l'ho trovato sincero).
Angoscia del reale in questo film. Molto crudo, impressionante, roba forte; e non perchè l'infezione attorno alla vena ci viene spiattellata davanti agli occhi; le scene in cui ribolle maggiormente lo stomaco sono proprio quelle in cui è mostrato uno dei protagonisti nella propria solutidine, con un continuo e serrato ritmo clasutrofobico, il battito aumenta ma l'ossigeno diminuisce.
In questo genere di film è facile cadere in sbavature quali: sentenzialismo, eccessiva drammatizzazione o, al contrario, superficialità.
Il regista statunitense non è inciampato in alcuna di esse.
Sin dai primi fotogrammi si intuisce che il regista ci prova; nulla di nuovissimo lo "split screen" iniziale, ma il suo utilizzo e la sua funzionalità ci consegnano qualcosa di nuovo. La linea sullo schermo separa non solo due punti di vista, ma due svolgersi di eventi contemporanei con relative sensazioni, il tutto con spruzzata d'angoscia che pervade la sala. Difficle rendere in maniera esatta il risultato sullo spettatore (questo è un particolare che dovrebbe già farvi saltare in groppa eMule).
Musica che facilmente contribuisce all'obiettivo delle immagini (qui l'impresa è meno eclatante, per me).
Utilizzo della cinepresa unita a tecniche "artificiali" (accelerazione, deformazione digitale, frenetiche simbologie...) fanno sì che il regista sia un coraggioso riuscito, in quanto i sentieri che percorre sono funzionali, non piatta esibizione (un po' come Ronaldinho, il quale per primo fece "numeri" concreti).
Coney Islan davvero "rude", sporca di bile e degradazione, con spazio nullo per colori accesi che diano speranza, chè quelli pastelli delle "chicche" mollano presto.
Attori immedesimati. La settantenne Ellen Burstyn (la madre dell'esorcizzanda Linda, ai tempi aveva 40 anni, oggi 80) è spaventosamente abile, la trentenne (oggi 40) Jennifer Connelly (quattordicenne in "C'era una volta in america" di Leone) è dannata quanto bella.
La sceneggiatura è stata scritta a quattro mani dal regista e dall'autore del libro da cui è stato tratto, Hubert Selby Jr ("Ultima fermata a  Brooklyn", del 1978).
A quando "The fountain - L'albero della vita", terzo film del regista?
Grazie alla Ele per il consiglio.
(depa)

7 commenti:

  1. Purtroppo la discesa in quel di Sepino mi ha fatto saltare (per la prima volta) una proiezione di Cinerofum. Poco male perchè il film l'avevo già visto, resta comunque l'assenza... Smaronata.
    Ricordo che dopo la visione del film il sentimento prevalente era l'angoscia, un profondo senso d'angoscia. Il lungometraggio è raccontato in tre capitoli: Estate (cima del piano inclinato), Autunno (non ci si può più fermare), Inverno (Morte Nera). Manca la primavera, stagione di risvegli e delle nuove fioriture. Manca proprio per evitare qualsiasi tipo di rinascita.

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  3. Caro Depa...
    beh che dire Requiem for a Dream, nel suo genere e nella sua epoca storica e' sicuramente uno dei miei film preferiti.
    Come sottolinei vagamente tu, questo non e' un film su o contro la droga o ancor meno sulla degenerazione delle denominate "nuove gererazioni".
    A mio modo di vedere, Aronofsky, offre allo spettatore (che alle volte rimane incredulo) un crudo ritratto di quelle circostanze estreme ma aime' sempre piu' frequenti in una societa' moderna.
    La chiave di lettura che il registra vuole dare e' quella di soffermarsi sul fenomeno di isolamento e di teoria del vincente che la societa' occidentale propone.
    Non a caso il film e' articolato in tre stagioni, L'estate (intesa come la parte della vita dei personaggi della speranza), l'autunno ("The fall" la caduta in inglese) e poi l'inverno che porta con se la fine delle storie dei personaggi. Volutamente non c'e' la primavera, stagione comunemente intesa come rinascita.

    I personaggi son tutti ben calibrati:

    La madre (fenomenale il suo monologo), schiacciata da una solitudine sconcertante che trova libero sfogo solo nel miraggio della televisione come strumento di pubblica accettazione.

    Il figlio, indottrinato del dover vincere in una vita che lo fa partire in svantaggio.

    La fidanzata e il suo miraggio di una vita normale la quale si aggrappa all'unica persona che puo' darle una speranza ma che poi cade per l'incapacita' di fronte ad una vita sempre piu' iniqua.

    L'amico che invece trova libero sfogo e poi annega nel suo tentativo di riscatto sociale.

    E non dimentichiamo il riccone, di cui non ricordo il nome, ma che a mio modo di vedere e' l'emblema completo di questa societa' riflessa. Ricco e senza valori che possano andare a supporto della sua ricchezza. Ed e' proprio il suo personaggio che in qualche maniera, dal punto di vista morale, genera il senso di riscatto in tutti gli altri personaggi.

    Quindi no, non e' un film che parla di droga o che cerca facili consensi. E' un film che quasi sconcerta da quanto sia in realta' aderente al nostro quotidiano.

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    1. Grazie Nick per il prezioso intervento. Proprio ieri mi sono ritrovato a parlare di questa pellicola che è sempre un piacere sottoporre a qualche amico.
      Saluti!

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    2. Cari amanti del cinema, oltre a quello che avete scritto volevo sottolineare la bellezza e l'importanza della colonna sonora (Clint Mansell).
      Non c'è solo il meraviglioso, avvolgente e inquietante leit motiv di archi o la base tekno che nelle scene veloci del film parte a manetta. Questa colonna sonora è un esempio di musica psichedelica della miglior specie! "tintinnii svariolosi", colpi di basso lenti costanti e incalzanti, suoni campionati di banconote che vengono arrotolate, nasi che tirano, lacci che si stringono, passi, porte che sbattono, orologi che "ticchettano", tappi che si stappano, acqua che scende nella gola, lampadine che saltano a intermittenza, voci...
      Queste musiche sono spettacolari, coinvolgenti ed essenziali affinchè il film sia quel che è e trasmetta quello che trasmette cioè speranza, amore, rabbia, ansia, paura, inquietudine, rassegnazione.
      In "Requiem for a dream" la trama è musica e la musica è trama.

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    3. Ah Bubu, ma che stai a di'!?!
      Forse stai esagerando... ;)

      cmq "trasmetta quello che trasmette" è bellissima, come direbbe il Taigher

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  4. Ma daaai! è troppo musica psichedelica da paure la colonna sonora di sto film! vabbè... hai conosciuto i Pink solo l'altro ieri...me ne sto...:)
    cmq...
    stile!
    ;) ;)

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