Ieri sera, sotto consiglio di Doris che voleva sapere cosa ne pensassi, ho visto Il riccio. Il riccio, oltre ad essere un animale spigoloso che dalle mie parti finisce al forno, tra l’altro si narra sia buonissimo, è il primo lungometraggio di una giovane regista, Mona Achache, talmente giovane che su Wikipedia non c’è ancora una voce corrispondente a questo nome. Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo L’eleganza del riccio, della francese Muriel Barbery. In effetti, Doris ha ragione, il film è molto particolare e si vede che la regista è alla sua prima rappresentazione. Non voglio in nessun modo raccontarvi la trama e neanche svelarvi i protagonisti, vi ruberei mezzo film.
Vi dico però che in questo film si gioca molto con la telecamera. Ci sono un paio di scene riprese attraverso bicchieri di vetro vuoti e mentre non lo sono più, oppure scene in cui si dà da mangiare ad un piccolo pesce rosso, una pasticca di ansiolitico. È emozionante vederlo salire a galla dopo pochi secondi.
Ci sono però anche degli aspetti che non conferiscono al film la palma di un perfetto lavoro. La bambina è in possesso di un vocabolario e un intelligenza spropositate per la sua età. Inverosimile. Inoltre l’interpretazione del vicino giapponese lascia il tempo che trova. Queste due piccole carenza non influiscono più di tanto sul mio giudizio finale che è abbondantemente sulla sufficienza. Finale shock, quelli che piacciono a me.
Vi dico però che in questo film si gioca molto con la telecamera. Ci sono un paio di scene riprese attraverso bicchieri di vetro vuoti e mentre non lo sono più, oppure scene in cui si dà da mangiare ad un piccolo pesce rosso, una pasticca di ansiolitico. È emozionante vederlo salire a galla dopo pochi secondi.
Ci sono però anche degli aspetti che non conferiscono al film la palma di un perfetto lavoro. La bambina è in possesso di un vocabolario e un intelligenza spropositate per la sua età. Inverosimile. Inoltre l’interpretazione del vicino giapponese lascia il tempo che trova. Queste due piccole carenza non influiscono più di tanto sul mio giudizio finale che è abbondantemente sulla sufficienza. Finale shock, quelli che piacciono a me.
Mona Achache Ad maiora.
(Ossy)
(Ossy)
Davvero un film originale quello di Mona Achache(ha solo 28 anni!!), ci ha saputo fare nel raccontare la storia ispirata al best seller omonimo, in modo essenziale e delicato. Anzi, di omonimia non si tratta, pare che l'autrice del libro si aspettasse un adattamento più vicino al suo racconto perciò ha preteso che il film avesse un titolo non proprio identico al suo libro.
RispondiEliminaGli incontri, gli sguardi i sorrisi accennati...tutto avviene all'interno di un palazzo signorile a Paris, la città dell'eleganza per eccellenza. Tra vetrate in stile Art Nouveau e scoloni di marmo, l'occhio narrante scruta la vita di alcuni degli inquilini dello stabile. Si accorge di quelle persone che probabilmente esistono anche nei nostri palazzi, sono discrete, educate sì, ma sempre defilate... Dietro le azioni quotidiane di questa gente apparentemente banale possono invece nascondersi passioni e abitudini del tutto inaspettate. Sicuramente il personaggio della bimba è un pò caricato, sono d'accordo, ma dopotutto la pellicola è un mezzo perfetto per raccontare attraverso la comunicazione visiva un mondo non necessariamente reale. Il solo fatto che permetta di dare vita a delle situazioni che possiamo vedere, proprio nel senso di percepire con la vista, può essere già sufficiente per dare credibilità alle situazioni più impossibili. Probabilmente certe cose non avverranno mai nella realtà, ma in una realtà filmica tutto può accadere, L'arte cinematografica è una sorta di mondo parallelo, in cui si può dar sfogo alla fantasia e immaginare vite e storie possibili, ma anche impossibili. La regista "parla" molto attraverso le immagini ed è particolarmente attenta ai dettagli(vedi la scena in cui scopre chi è che mette i mozziconi di sigarette so lo zerbino, tanto per dirne una)... Questo approccio profondamente affine al mio personalissimo modo di percepire le cose, mi ha tenuta incollata allo schermo come se qualcuno stesse osservando una porzione di mondo con i miei occhi.
(Doris)