In sala Uander, lunedì scorso: "La febbre dell'oro" di Charles Chaplin (1925).
Uscito 4 anni dopo "Il monello".
Meraviglia, ragazzi un altro 30 e lode.
Io ed Elena abbiamo assistito al capolavoro della messa in scena dei sentimenti. Ma non solo, Chaplin in questo film ha anche dato prova della sua creatività, ponendosi e raggiungendo clamorosamente l'obiettivo di stupire lo spettatore. Ah, giusto: lui il film l'ha fatto nel '25, io l'ho visto quasi cent'anni dopo...
Provate a guardare le immagini della casetta di montagna in bilico sullo strapiombo e i due omini che saltano fuori! Provate a percepire quale innovazione ci sia dietro ad una dissolvenza ripetuta nella stessa scena, senza stacchi, per rappresentare la delirante "trasformazione" del protagonista in un pollo e viceversa!Io ed Elena abbiamo assistito al capolavoro della messa in scena dei sentimenti. Ma non solo, Chaplin in questo film ha anche dato prova della sua creatività, ponendosi e raggiungendo clamorosamente l'obiettivo di stupire lo spettatore. Ah, giusto: lui il film l'ha fatto nel '25, io l'ho visto quasi cent'anni dopo...
Ele, non negare di avermi visto saltare sul divano!
Con questa pellicola il regista londinese ci fa sentire piccoli, il vagabondo sullo schermo ci rende ingiusti e frivoli...
In questa storia travestita da film comico, il massimo della drammaticità; mi spiego:
- proviamo a guardare la scena in cui il vagabondo giunge al "saloon" nel villaggio, lui è inquadrato di spalle che osserve sbalordito l'esplosione di sorrisi e suoni...personalmente credo che sia una delle immagini cinematografiche più potenti; con un'inquadratura Chaplin ci dice di emarginazione, squilibrio, ingiustizia ma anche di dignità.
- oppure la celebre scena in cui il minuto protagonista esegue il balletto coi panini, è di una forza tremenda, lo spettatore quasi ci prova a dire "Ma è bravissimo! Che ridere!", non c'è verso: si precipita, vorremmo anche noi essere stati spazzati via dai ghiacci come quel violento di Black Larson. Pelle d'oca.
Le scene che fan ridere ci sono, ovvio: quando il vagabondo, per tenersi su i pantaloni, si lega l'estremità di un guinzaglio attorno alla vita, per poi venire trascinato per la sala per colpa di un gatto imprevisto...ahahah! Oppure quando durante la rissa tra i due energumeni (Giacomone e Larson) il povero vagabondo deve vedersela col terzo incomodo...il fucile che i due, nello scontro, puntano insistentemente verso di lui! Risate grasse (ma con qualcuno che, tant'è, esclama "Ma dai! Poverino!").
Ci si commuove anche quando vediamo il protagonista gioire come nessuno mai, alla notizia che la bella Georgia a capodanno si recherà proprio da lui! La scena si conclude con un monumento all'imbarazzo (sarà beccato dalla bella nel pieno dell'euforia).
E' questo il punto: una forza espressiva potentissima. Più o meno è quello che noi abbiamo nel nostro immaginario affiancata alla voce "attore", ora però facciamo un po' conti: quanti hanno quello sguardo, quelle movenze che fanno percepire superflui ogni parola, ogni sottotitolo, ogni canzone???
Grazie Charles.
(depa)
ps, per completezza: 20 anni dopo uscì la versione sonora con la sostituzione delle classiche didascalie con commenti di una voce narrante (in inglese fu lo stesso Chaplin). Io ho visto la seconda, da reperire anche quella muta, sostanzialmente due esperienze differenti.
Stasera voglio riguardarlo. Mi ricordo solo che mi era piaciuto moltissimo... Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooo non ho il cd. Porc...... Sono fottuto. TUN!
RispondiEliminaahahhah grande Taigher...
RispondiEliminadimenticavo la scena in cui Giacomone ed il vagabondo cenano con lo scarpone è la più drammatica della storia!! Perchè vera....
W il cagnolino!!!
Rivisto ieri sera dopo anni, anch'io nella riedizione del 1942 tagliata dalle didascalie, "con l'aggiunta di musiche e di un commento scritto (e interpretato) da Charlie Chaplin".
RispondiEliminaLa commedia, a mio parere, guadagna in ritmo e dinamicità, ma perde in imprevedibilità e poesia. Charlie se ne deve essere un po' vergognato, visto che non accenna minimamente a questa riedizione (ne ad altre) nella sua autobiografia, ma si sa, siamo tutti uomini...
E lui rimane uno di quelli che ne nasce uno ogni tanto tanto, perchè anche in questa "La febbre dell'oro" mostra le sue più incredibili doti già da me più volte decantate sul blog. Una vena comica innata sia nelle trovate che nell'interpretazione (le scene nella capanna,quella del cane, ecc ecc...) un garbato spirito critico e di denuncia dei disvalori dell'epoca e tanta tanta tanta poesia... La dolcezza con cui affronta l'imbarazzo di fronte a lei.... La danza coi panini, il sogno, la solitudine... E l'immancabile lieto fine... Che bello! One Love.