Un'email del "Prof. Sini" segnala la rassegna "FREE CINEMA IRAN", organizzata dal CELSO (Studi Orientali) e dedicata ai film di quella landa martoriata dal sitema socio-economico, che altrove trova soluzioni meno "appariscenti". Dopo l'apprezzabile quanto doverosa inagurazione con l'ultimo di Panahi, salgo in Gradinata (quella del "City") per il secondo appuntamento, scoprendo Ida Panahandeh. Regista di Teheran, classe 1979, esordì nel 2015 con una pellicola inappuntabile, così attenta alla fotografia, densa e cupa, e nell'affrontare senza sotterfugi, che non siano quelli della tenace donna madre "Nahid", quanto nefasto sia ancora il patriarcato.
Ottimo attacco, la regista si presentò pulita e ordinata. Padrone del proscenio dove attori noti, interpreti apprezzati, daranno corpo a questa miseria umana. Bella e capace Sareh Bayat, classe 1979, la protagonista nel moto irrequieto della lotta per la vita. Così come Pejman Bazeghi, 1974, che incorpora la classe colta, volitiva quanto incapace. Dove ho già visto il padre scumbinato? Ah sì, Navid Mohammadzadeh, classe 1986, in quel "dubbio cosciente" di cinque anni fa). Fatiche di madre tra le fisime del denaro. Fotografia compatta, bianco- grigio-azzurra da nuvole incombenti. La m.d.p. sgomenta in movimenti sinistri. Ci si "agita per piccole cose", rese immani dalla Legge e da Dio (due di cui diffidare). Nelle pastoie di famiglia e religione. L'amore materno è un arpeggio fugace, prima dell'ennesimo conflitto, o dell'ultima risata, che dovrà pur seppellirvi.
Alle donne non resta che individuare l'uomo peggiore.
Alle donne non resta che individuare l'uomo peggiore.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento