Credi male

Osanna oscar, corsa d'oro alle opere di Bong Joon-Ho. Secondo lungometraggio dell'autore sudcoreano, "Memorie di un assassino", del 2003, è un ottimo poliziesco dove, dietro alla solita farsa poliziesca, s'annidano riflessioni fondanti: l'insormontabile distanza tra realtà e apparenza, proporzionata a quella tra libertà e Stato (di polizia). Il taglio ironico e pungente del capellone di Taegu era già arrotato.

Pellicola che parte in sordina, travestita da B-Movie. Nell'estetica e nei contenuti, apparentemente imbevuti di stereotipi, occidentali (polizieschi) e orientali (calci volanti come se piovessero). Questo l'aspetto più convincente della pellicola, ogni nota del crescendo pare nelle mani del regista, che guida l'intreccio elevando tutto l'ensemble senza cadute. Regia, recitazione e trama s'"aggiustano" spiazzando piacevolmente lo spettatore, un po' dubbioso di primo acchito. Le cuciture scompaiono. Compariranno passaggi eleganti, sintesi curate (il crudo "show must go on"). "Gli sbirri in Corea vanno a piedi", ché là in quattro e quattr'otto ci sei. Storia cupa, ma senza perdere l'ironia: l'uomo senza peli (mi sarei aspettato che qualcuno mostrasse la loro presenza al crimine successivo).
Come detto, il film gioca, vincendo, sulle apparenze (viene in mente il recente "Jewell" di Eastwood), con le continue smentite degli sbirri testardi sino alla menzogna, e sul sapiente crescendo cinematografico degno d'un thriller da rispettare. Inoltre, di questo splendido racconto sul fascino diabolico d'un caso irrisolto, sottolineo anche la buona ricostruzione degli anni '80 di laggiù.
Ottima miscela di specchi e persone, che rende maneggiabili anche i topoi più sdoganati (cappuccetto rosso sola nel bosco). Finale azzeccato in un film che spicca per argutezza. Non c'è bisogno di alcuna "dittatura", qui davvero sullo sfondo, per rappresentare un quadro realistico sui metodi investigativi e detentivi di tutte le Polizie e Pubbliche Insicurezze d'ogni dove. Secondo me Joon-Ho lo sa.
(depa)

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