La settimana scorsa, avendo avuto la possibilità di un'ulteriore chiacchiera con Jean Vigo, sono sgattaiolato al "Sivori" dove, restaurato, è stato riproposto "Zero in condotta". Mediometraggio (50' circa) scritto e diretto da Jean Vigo nel 1933, è il terzo lavoro della sua brevissima filmografia. Piccola grande rivolta di monelli, creature libere, loro, non ancora del tutto ammansite, proveranno a mostrare agli adulti come fare.
Interpretata da Jean Dasté, che l'anno successivo seguirà il regista pure lungo in canali di un amore burrascoso, questa preziosa pellicola, pervasa da un'intensa leggerezza, racconterà di un'idea di libertà che esplose nel collegio/mente dei suoi piccoli ma determinati protagonisti.
Tra le musiche di Maurice Jaubert e le accelerate e i rallenti (l'inizio della riscossa, tra piume e cuscini) ideati da un regista scalpitante come i bricconi sullo schermo, la camera fissa coprirà l'intero "campo di battaglia", il dormitorio, tutta la camerata di disobbedienti di primo pelo, facendone un unico compatto gruppo (ed è uno spettacolo vederlo trotterellare in semi-libertà sul pavé).
Dopo un breve e delicato tributo a Charlot, Vigo butterà nella provocatoria scatola magica pure un frammento di animazione immerso nel reale (il disegno che, dal quaderno, prende "vita").
A proposito di libertà, prima di chiudere, data anche la personalità del regista, è doverosa una riflessione sui tempi duri che possono sempre braccare gli spiriti dei loro contemporanei. Questo film fu vietato sino al 1945 ("antifrancese"). Oggi fa sorridere. Quanti, allora, se ne indignarono? Quanti accettarono e andarono a far la spesa, a lavoro, al pub? Il progresso intellettuale dell'uomo è una chimera. L'idiozia, invece, è piombo concreto. Per cui, vale la pena non delegare, non dare per scontato, non ipotizzare. Occhi aperti, verso l'onnipresente padrone che osserva, regala la mela glassata (di sua/vostra produzione) e comanda.
(depa
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