Si ripete l'appuntamento coi celebri "corti" del cinema muto (anche post fatidico 1929). Sabato sera all'"Altrove", stavolta musicando, pure Elena in sala col "Collettivo Wurtz". Sullo schermo l'unico cimento dietro alla cinepresa dello scrittore francese Jean Genet (1910-1986). Men che meno astratto, anzi un amore concrete, ben serrato tra muri armati, una passione braccata dalla follia sociale sino ad esplodere. "Un chant d'amour", del 1950, è cortometraggio che attinge dalla vita e, quindi, dalla poetica dell'autore orgogliosamente bastardo.
Passione in spazio chiuso, si libera in ogni modo. Mille vie e pertugi per toccarsi, per pelli distanti ed impossibilitate. L'immaginazione è un grimaldello del desiderio e l'evasione, pertanto, può ripetersi mille volte in un secondo. Per un contatto qualsiasi, foss'anche di particelle di tabacco e catrame. Una cella stretta chiama il voyeurismo di chi è fuori dalla stanza e il degenerante bigottismo auto-sterilizzate.
La forza del desiderio, su corpi che si sentono (sono i nostri) e i carcerieri arretrano, senza comprensione (questa brama desiderio che è anche loro: eccolo, un'altra volta, il terrore di sé). Sudore e peli e movimento. Sadismo, prevaricazione e sottomissione, palline tre colori annidate in ogni esperienza erotica, con conseguenti sfumature ed effetti. L'ipocrisia, invece, è un falso bianco e nero, come qui. Poesia dei corpi, maschili, delle tenerezze (la stretta della mano al corpo in spalla) e delle attrazioni, valida, potente, profonda, intimista of course, forse un po'...rabbiosa.
(depa)
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