Si prevede un film, ne sboccia un altro. Ieri sera stavo per dirigermi, ancora una volta, in Giappone, ma son finito in Cile. Sarei dovuto essere solo, tac, fiocca Marigrade. Uscito nelle sale due anni dopo la realizzazione, "Poesia senza fine" (2016) è il secondo capitolo dell'intimo racconto biografico del regista Alejandro Jodorowsky. Dopo l'infanzia, narrata ormai cinque anni fa, ora è la fase dei conflitti e delle scoperte adolescenziali, osservati con la lente magica del ricordo, dolce e salvifico strumento con cui rivivere ed eventualmente riformulare pensieri e gesti del proprio trascorso.
Trattasi della rappresentazione cinematografica della vita di un artista a tutto tondo, quale al di là di ogni giudizio personale è Jodorowsky. In particolare, manipolata da lui stesso, perciò in sala, quella dei "Cappuccini" o altre, di uomini mezzi ammazzati proprio non possono essercene. Tanto vale lasciarsi andare e gustare questa allegra e colorata corsa scavezzacollo nel mondo dell'arte, della poesia. Lo scontro col padre più che severo (con evidenti problemi psico-fascisti), di cui si ebbe evidenza già nei primi lavori, la distanza incolmabile tra il mondo accademico ed una società ancora allo sbando. La separazione e, quindi, la deriva esistenziale che sola può crescere. Alejandro (qui impersonato, nelle due età, dai suoi due figli reali, anche bravi) conoscerà due tette enormi, capelli rossi, sarà una poesia di fuoco e alcol che lo farà esplodere, sino alla partenza verso la città delle luci artificiali.
Alto coefficiente di difficoltà, visto il rischio di innamorarsi di sé e costringere il pubblico a fare lo stesso; ma "Jodo" non è un buffone e la sua ironia riesce a tenerlo lungo i bordi di una sana e costruttiva umiltà. Rendendo il suo giovanile scalpitare, l'irrequietudine artistica, senza arzigogolarci troppo (solo in tal senso può essere accettato con un sorriso l'unico punto/colpo basso del film: la sequenza davanti allo specchio, altrimenti debolissima), intento soprattutto a sondare gli effetti speciali della memoria. Ad ogni modo, passeggiare lungo il personale percorso del regista cileno, oltre che bello da vedere (ricordiamo che è anche un regista dalla sensibilità ben definita), risulta interessante anche perché si può venire a conoscenza dell'entourage des folies cui apparteneva, con Enrique Lihn, o, un po' più in là, Nicanor Parra (scomparso una settimana fa).
Consigliato, da ricevere senza pretese (perché le pretese sottraggono).
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento