Altro Fritz Lang, anzi, l'ultimo. Ma no, che avete capito?! "Il diabolico dottor Mabuse", del 1960, fu il lavoro finale del fondamentale regista austriaco. Dopo quasi trent'anni dalla sua seconda ed ultima apparizione (periodo coincidente col lungo esilio dell'autore dalla terra natia), fece ritorno sui grandi schermi uno dei primissimi signori del male, il Mabuse, scienziato con enormi disturbi emotivi, dedito all'onnipotenza: ardua la sua cattura, dati i poteri paranormali e l'inventiva degna degli assistenti dell'agente segreto inglese ben più rinomato. Ma Lang l'ha acchiappato e fermato su questa preziosa pellicola, che in sala Valéry ha tenuto Elena e me svegli coi trucchi e i misteri della grande narrazione di spionaggio.
Inizia il film e le autocitazioni cadono a grappoli. E se noi oggi potremmo guardare, oltre che con sincero entusiasmo, anche con un po' di tenerezza a questi riferimenti, proviamo a pensare cosa potesse volere dire per i cinefili di allora (mi viene in mente il gelato ad Ostia di Caligari). Chissà che emozioni! Qui il caso è diverso, trattandosi di un sequel esplicito. Ma i tributi auto-concessi da Lang, ad ogni modo, hanno il merito di prepara il territorio, catapultando lo spettatore in una storia nota che, a tal distanza di tempo, è rimasta sempre pungolante: poiché il ricordo del professor Baum, rinchiuso in stato catatonico in una cella di manicomio, non ci aveva abbandonato, né convinti della definitiva salvezza per l'umanità. anzi, in questi ventisette anni il genere umano ha dato prova di tutt'altra consapevolezza. Per cui ci accodiamo subito alle indagini del volitivo commissario Kras e dell'astuto agente dell'Interpol (Mistelzweig, buffo quanto implacabile).
Intrigo, Intrigo! Kras è circondato da personaggi misteriosi, ora minacciosi, ora stravaganti. Si rivolge a tutti senza dipanare la matassa: "il veggente, l'assicuratore, e quella donna" (suicida)...Quindi ecco il vero testamento di Lang: relatività delle percezioni, la complessità dei personaggi (diretta espressione dei mille volti e abiti di ciascuno), con la girandola di ruoli e rivelazioni. L'assicuratore imbranato è in realtà il migliore investigatore. Lo psicologo è (anche) il carnefice, il veggente cieco non lo è, intendo cieco, intendo veggente, intendo che non. "Tutti pazzi". La donna agisce per conto di qualcun altro (ma chi?). Il gioco di specchi (bugiardi) e delle carte (truccate e mescolate), riesce anche per la scelta di Lang, qui moderno Pollicino della "Settima", di farsi seguire senza fretta, rivelando dopo ciò che era oscuro prima. Permettendo (obbligando?) allo spettatore di restare sempre allacciato al racconto.
D'altro canto, sono passati decenni, quelli rombanti del XX° secolo, tra l'altro, ma la tecnologia concede solo di moltiplicare, elevando al quadrato baffi-naso-occhiali finti, possibilità e menzogne che, in realtà, son sempre esistite.
(depa
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