Fine settimana Fritz Lang. In sala Valéry, venerdì scorso, è stato proiettato un altro lavoro del regista austriaco (nella versione francese, fornita ancora una volta dal prezioso archivio di Sergio). "Il testamento del dottor Mabuse", del 1933, è il secondo capitolo della saga dello scienziato pazzo che volle controllare il mondo, a pochi attimi dal Reichstag...
Dalle viscere della terra giunge il battito, regolare e terrificante, di qualcosa di sinistro, uno stantuffo (su e giù, sbuff), qualche oscuro macchinario all'opera. Chi troppo sa, finirà male (come chi non abbastanza, considerando Mabuse "non un genio ma un comune criminale, salvato dalla ghigliottina da un manicomio"). Male e bene si ridanno appuntamento per l'incontro decisivo.
In questa pellicola il "direttore artistico" Lang profuse tutta la sua maestria, sfruttando alla meglio l'elemento sonoro (incipit, ticchettio, la bella trovata del "Kent" pronunciato all'unisono, o quasi...) e strutturando l'intreccio con scattanti paralleli che aumentano il coinvolgimento dello spettatore (influendo sulla suspense). Pure i dialoghi risultano accattivanti, accavallandosi rapidamente in maniera realistica.
Come nel primo capitolo, il racconto gioca sapientemente su alcuni punti "oscuri", pezzi distanti di un puzzle che, per magia insondabile, viene a comporsi.
Il finale rocambolesco ed avvincente non chiude i conti con chi vedeva nel controllo delle menti la via più rapida per il luminoso avvenire, preparando il più classico dei seguiti che, però, dovrà aspettare oltre cinque lustri.
To be continued, in generale.
(depa)
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