"Fisse e dilatate"

Dove lo trovi un quartiere in cui, camminando tra caruggi e bui passaggi, ci si possa imbattere in una proposta cinematografica, così, prêt-à-prendre, via, da vedere a casa. Magari in sala Valéry, come ieri sera, dove Elena ed io ne abbiamo viste di belle (o di orride, dipende) per colpa di Michael Crichton, "incontrato" nel tunnel della Balaclava. Scrittore in primis, con romanzi thriller-scientifici celeberrimi, regista per il conseguente desiderio d'un altro mezzo narrativo, l'autore di Chicago, classe 1942, ha dalla sua la forza dell'intreccio, ciò vuol dire ritmo, ciò vuol dire emozione, che vanno a scuotere gli spettatori, soddisfatti di aver pagato il biglietto. "Coma profondo", del 1978, secondo film del regista, appresso al canovaccio vincente, propone un cast di giovani promettenti e immagini di grande effetto.

Non stiamo parlando certo di un cinema alto. Proprio come nei best-seller da lui firmati, ciò che chiede il pubblico di Crichton è avventura e suspense; se qualche riflessione ci scappa, tanto meglio, ma non è roba sine-qua-non. Ciò nonostante, senza soffermarmi sulle parentesi rosa del racconto ("tu non vuoi un amante, ma una moglie", da un uomo alla sua fidanzata: significato oscuro, vittima della traduzione?), comunque necessarie, per generare e legare tra loro le dinamiche dei personaggi, in questa pellicola alcuni quesiti sul rapporto tra scienza, potere e società emergono prepotentemente. C'è da stare peggio che inquieti. Ed è meglio così. Poiché tutti gli incubi narrati si sono già tristemente avverati, più volte. Negli "States" favolosi, gironzolando tra gozzetti di una Boston inimmaginabile, ognuno è artefice del proprio destino, sino a quando non finisca nell'ingranaggio sbagliato.
Gran thriller su quella che chiamare malasanità (interessata) è un eufemismo, storia d'orrori marchiati coi soliti $$$, con ambientazioni alienanti e disumanizzanti (la comparsa del "Jefferson Institute" emana fumi hitchcockiani), tra cui la celebre stanza degli "appesi in violetto". Suono a rapporto, in fulgida uniforme, e un goccio di humour nero che, come d'uopo, ha l'effetto sia di smorzare, sia di accentuare lo sgomento.
In zona Cesarini, riabilitata la complessa figura del medico Bellow (Michael Douglas, qui trentaquattrenne, gli tocca far la parte del cretino, benché "sfumatissimo", ci fa o ci è?, cavandosela bene).
In definitiva un best-seller cinematografico riuscito, da consumare in piedi. L'archivio di Sergio c'ha messo lo zampino...facendo centro, in maniera differente, un'altra volta. Non resta che ringraziare e salutare. Buon 30 giugno genovese a tutti.
(depa)

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