Poco rumore per tutto

Il venerdì pomeriggio appena trascorso l'ho passato con Jacques Tati, presso gli Amici del Cinema. Ottima occasione, dopo un po' di tempo, per rivederci tutti. Compreso Monsieur Hulot, incontrato per la quarta volta in "Playtime" (1967), il film più "carico" della cifra dell'anticonvenzionale regista/attore comico francese, con una tale sovrabbondanza di oggetti e situazioni sullo schermo, da frastornare in allegria.

Pellicola restaurata nel 2002, un anno dopo la morte di Sophie Tatischeff (figlia del regista, allora assistente al montaggio), cui è stata dedicata  questa riedizione. In questa costosa produzione Tati ripone la consueta cura nella costruzione di geometrie e ambienti. Il risultato è un'atmosfera asettica in cui buffi e stravaganti pesci-umani nuotano con sguardo perso o movenze meccaniche. Compaiono due suore dalle cuffie curiosamente oscillanti e il suono, elemento cardine nell'effetto comico di Tati, si comporta di conseguenza. Scenografie geometriche, rigorose, regolari, seriali, anonime, finte, morte. Per Hulot Tati si prende tutto il suo tempo (quello stesso tempo ormai ingabbiato in business plan poiché si sa quel che è) e noi gliene siamo grati, spostando lo sguardo qua e là sullo schermo.
Oltre a "giocare" con l'audio (gli idiomi variegati), Tati sperimenta anche con gli spazi: figure distanti tra loro che interagiscono "grazie" ad una tecnologia che, nella sostanza, le ha allontanate (nella sequenza dell'ufficio suddiviso in loculi da super-visionare).
Tutto attorno si può parlare di assurdità, divenute incredibilmente la norma, ma pur sempre "deviazioni" rispetto alle consuetudini affermatisi nei millenni (ma anch'io voglio un appartamento con grande vetrata direttamente sul marciapiede, in culo alla privacy! Sì, poi anche una pipa d'altri tempi!).
Confrontato con i precedenti, in questo Hulot, non convenzionale come al solito, è riscontabile una maggiore complessità, una sofisticatezza nell'allestimento (qui legato a doppio filo con l'intreccio, sorta di platform in evoluzione real-time) che spinge lo spettatore a risolvere i rompicapi, più o meno evidenti, ideati e realizzati da Tati. Maggiore accuratezza che non può essere spiegata soltanto con gli enormi mezzi a disposizione (economici, tecnici).
Con qualche gemma come la Tour Eiffel lontano riflesso (non di per sé, ma per la delicatezza della fugace sequenza, col voltarsi della graziosa).
Dopo il finale rocambolesco e assordante (pur sempre curato, vedere la malinconica parentesi dei due ubriachi che sospirano e bevono ad un ritmo decimato), mi convinco che anche per me questo sia stato il miglior Tati, per struttura ed effetto corale: dove Hulot pare uno di noi, prima ancora che protagonista, a vagare e farsi sbattere porte sul muso, SBAM!, pur di non mancare di rispetto ad una dolce fanciulla. Per il resto, tutto questo nuovo chiasso...lasciamolo fuori (o dentro).
UUUhf, che giornata e, soprattutto, che notte impegnativa! A' la prochaine, Hulot.
(depa)

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