Escludendo la breve apparizione rogopatica, erano quattro anni che il cineteorico radicale Jean-Luc Godard (86enne a dicembre) non passava a farmi visita in una qualche sala del 'Rofum. In sala Valéry, ieri sera, "Bande à part", del 1964: triangolo criminamoroso spensierato e letale, vita viva vita in corsa, sino allo sparo per cui può valere la pena.
Nei titoli di testa ritmati e spericolati spicca il volto di Anna Karina e, su questo, i suoi occhi palle tonde giganti rotolanti per il resto della proiezione. Poi si susseguono sequenze dal carattere forte e gagliardo, guappo, ma ben concentrate sull'obiettivo.
Uno splendido "Romeo e Giulietta" shakespeariano en française con due occhi grandi grandi (sempre i suoi). Momenti anomali, se si vuole (ma anche no), nella filmografia del regista parigino, proprio perché vicini alla normalità (a parte gli occhi, sempre quelli). Ma è solo un'impressione: la pellicola è modernissima, nella sua linearità: spigliatezza e inventiva nelle riprese e nei dialoghi. E' vero che, sfrontato come i protagonisti di questo film, Godard pare limitarsi a un leggero gesto di disprezzo verso gli accademismi della Settima, non ancora in preda alla sua illuminante distruzione. Ma sono tante piccole e significative fratture: il gesto estemporaneo, l'improvvisa azione (il breve "lalalà" di Odile), la sequenza puramente decorativa/provocatoria (il silenzio, il ballo, il Louvre da record), la naturale e vivifica approssimazione versus il pesante e futile, lui sì, approfondimento (il triangolo dei protagonisti, così come i rapporti attorno alla padrona di casa). Scapigliata vita nelle corse di "Odile" Karina, su note jazz che fanno precipitare. Non si sa cosa succederà, perché è così che va: risa di gioia e grida di morte nelle girandole dei giorni.
Interventi d'alta sartoria d'avanguardia che, assieme a dialoghi dissacranti, freschi e folli (profondi, superficiali o alla deriva che siano) fanno di questo "romanzo economico" uno dei primi fumetti pulp cinematografici. Crimini sbandati tra amori al limite, ecco da dove arriva la violenta lirica tarantiniana.
(depa)
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