La sala Valéry, cometa fulgida e fulminea forse all'apice del suo breve percorso (quanto durerà?), ieri sera è stata travolta dall'azione e reazione d'un western in Cornovaglia. Nel 1971 il californiano Sam Peckinpah diresse "Cane di paglia", grandiosa escalation di violenza tra autoctoni e furesto, ripresa con agilità da un regista che di sangue e polvere ha cosparso la sua filmografia.
Labile equilibrio quello tra gli individui (figurarsi tra marito e moglie), è bene tenerlo a mente. Meglio fermare sul nascere, ancor di più evitare. La morale non è reazionaria, semmai: "Mai andare ai paesi suoi" (...e quando lei chiede di andarsene, seguila).
Un angelo biondo ha mostrato gli artigli in casa ed il sangue agli squali. Non è misoginia, misoginia sarebbe dedurre da un film che tutte le caramelle bionde mostrano le tette ai tetti. Le perversioni sociali come qualcosa di atavico (evidentemente in questa società) è quantomeno un tratto da abbozzare. Ossessioni, alcolica e sessuale, violenta e fobica, la morbosità è servita, a disposizione di tutti gli spiriti pigri (a modo suo, lo è anche il prof. David). Henry Niles un Gobbo Frankenstein moderno, su di lui la furia cieca della vuota e facile ignoranza. Ogni paese, città o nazione, ha la sua strega e il calendario dei dannabili si rinnova ogni anno di tanti nomi, nuovi ma anche vecchi.
Dove l'uomo metropolitano dovrebbe, se non in casi estremi, soccombere di fronte agli autentici buzzurri, possono scattare molle, inneschi, sicure...sconosciuti.
Ma, prima di tutto, un eccellente film d'azione, thriller ottimamente calibrato, macho nel midollo (lo era anche Wayne), scandito da un montaggio da studiare e interpretato con trasporto dagli attori (Dustin Hoffman perfetto, l'inglese Susan George, bellezza incendiaria, capace di tutti i momenti, giocoso e tragico, poi tutti gli altri).
Allucinante danza finale, folk-massacro dove un rallenti non è solo splendido ma fondamentale (come i giochi di prestigio di Ronaldinho). Grandioso.
(depa)
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