Somalia 1992. "Solo i morti hanno visto la fine della guerra", Platone. Parole sante; e maledette. Così inizia "Black Hawk down", film diretto da Ridley Scott nel 2001; provando inutilmente ad innalzarsi oltre la linea della retorica più bassa. E invece siamo ancora lì, nell'autunno del '93, a raccontare di violenti ed invasori, di ipocriti e criminali, di film che, proprio come le armi, non porteranno a nulla.
Ora, che il modo più sincero ed onesto di rappresentare l'entrata in scena dei soliti marines sia quello "Oh merda, avete visto che roba? Guarda capo! Là sotto il fuoco sta ammazzando dei civili!"), non mi convince. ("Ricevuto, roger..."). L'aquila nera della retorica militare americana ormai la conosciamo, essa è necessaria al sistema U.S.A. come il sole per una pianta, ma ritrovarmela al cinema, luogo nel quale, anzi, nutro la speranza di cibarmi di ben alte idee. Quindi eccolo il primo macroscopico difetto di questo film. L'altro lascia molto più sorpresi, poiché gli americani, oltre a fare la guerra, la sanno anche ricostruire fedelmente. E allora che diavolo ci fa un americano con okley fosforescenti tra le bancarelle di Mogadiscio a pochi passi dal signore del male di turno? Tanto valeva portarsi dietro bandiera e revolver. Per non parlare della croce rossa sul veicolo del "contatto" ("Miii, più grande potevano farla!", alla siciliana). Senza dimenticare che l'evento che dà il titolo al film avviene, inspiegabilmente, per un mancato effetto sorpresa: ma come? Primo: vi aspettavate di non essere visti? Pensavate di avere indossato il telo dell'invisibilità regalo segreto del Pentagono? E soprattutto...tutti i satelliti in collegamento, dirette TV sul campo di guerra e nessuno si accorge che qualcuno, forse forse, sta annusando l'aria (stiamo sempre parlando di un'azione quasi suicida che si propone solo chi ha una considerazione di sé più che alta). Inoltre, che mai una prosaico san pietrino scalfisca i bei visi dei soldati, mi pare piuttosto improbabile.
Se più di 300.000 morti è un genocidio, per gli Stati Uniti sarà davvero arduo trovare uno spicchio di coscienza pulita (nonostante i reiban sciabolati via dal volto).
Tante belle parole: uno dei personaggi principali è "un idealista, addestrato non a combattere, ma a cambiare le cose" (uhm sì, andando avanti così altro che notte...).
Quello della pellicola è un punto di vista, su questo non ci. Film dalla parte degli americani, martiri della democrazia a suon di hi-tech per uccidere, comprensibile. Si prova anche un po' di pena per questi poveri e assassini ragazzi, con la morte già in faccia (come potrebbe essere altrimenti?) prima ancora che nelle mani. Questi giovani pieni di speranze (?) che devono pure essere traditi, chissà quanto inconsapevolmente!, da bambini sentinelle sparsi nella periferia (sfruttare i piccoli, shame of You, aguzzini!).
Tra i pochissimi meriti della pellicola, oltre a raccontare, anche se alla propria maniera, uno dei capitoli più efferati delle recenti guerre dimenticate, vi è quello di restituire dignità ad una terra lontana e fantastica, sospesa tra il giallo porpora della polvere nel sole e l'azzurro blu del mare che s'appressa. Terra la cui magia ferita piange disarmata.
E' vero, c'è anche il ritmo della disfatta, tragicamente elevato. Con l'immagine di questa "macchia nera" che si chiude (che poi è petrolio, poiché armata), non prima che una mano si avvicini alla sua ultima cara foto (sigh). Poi la mitica riapparizione di "Spud", che permette un'altra cazzata: la copertura affidata ad un sordo in piena crisi.
Pessima retorica sbagliata, dall'inizio alla fine ("Ehi Hughes, perché lo fai?" "Tanto non possono capire, che si tratta di compagni!", sic; pure il figo Orlando Bloom nell'"extra time" timbra il cartellino del krumiro, complimenti).
Alla fine della parata, oltre 1000 somali per 19 soldati americani. Alla faccia degli eroi. Non dimentichiamo che questa pellicola si basa su di un testo "plasmato" da osservazioni e critiche raccolte in rete (Mark Bowden), per di più rivisto e rimaneggiato dall'astuto e capace sceneggiatore (Ken Nolan), per un appeal che soddisfi il più cool degli statunitensi frustrati.
Se questa è democrazia, c'è di meglio. Se questo è un film, idem.
(depa)
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