La settimana scorsa l'annuncio dai ragazzi del Laboratorio Bellamy: all'Altrove, in occasione del "Live Festival - Storie di vita omosessuale", saranno proiettati due film del canadese Xavier Dolan. La sorte ha voluto che fossero i mie due mancanti, tra i diretti dall'autore. Chi bazzica un po' per il 'Rofum sa quanto io stimi il giovane regista, quindi la serata di ieri era già decisa. A vedere "Les amours immaginaires", pellicola del 2010, c'era anche Baraka (ormai allontanato dalla Sala Valéry per provvedimento disciplinare), che apprezzò l'ultimo lavoro uscito nelle sale. Non certo da stropicciarsi gli occhi, ma è bello seguire le prime mosse di questo ambizioso e sfrontato regista classe '89, qui al suo secondo lungometraggio.
In questa commedia si può percepire il contrasto interno dell'irrequieto regista tra la voglia di ironizzare e quella di drammatizzare. Gli riescono tutte e due le cose, sia chiaro, tendendo indubbiamente verso la prima. Storia di ragazzi innamorati, per nulla pronti, ma determinati a stare nel mezzo, a viverla, questa immensa esperienza di cui parlano tutti a semplicemente godere. Senza dimenticare, ripeto, l'alto dosaggio di ironia, senza la quale non si potrebbe restare seduti. Non scopro ora la sensibilità di Dolan nel amplificare con suoni ed immagini le emozioni sullo schermo (e le nostre); e so che "andrà sempre meglio". Per cui l'evidente insistenza (per non parlare di vero e proprio abuso) nei rallenti musicali viene da me accolta e accettata, come un cucciolo dispettoso. Marchi di fabbrica che Dolan porterà con sé, per fortuna edulcorati lungo il suo percorso artistico (in quantità, non nella qualità).
Anche perché c'è dell'altro: l'attenzione di Dolan, vero e proprio attaccamento, ai volti dei personaggi; le sue capacità attoriali; la sensibilità estetica, espressa nei dettagli e negli allestimenti (grafica e audio), e quella psicologica, riscontrabile nella sceneggiatura e negli sguardi mal nascosti. Insomma un'opera giovanissima in ogni caso rivelatrice di un talento e, altro merito del regista, esponente di una "letteratura" cinematografica ancora colpevolmente scarna.
Il vigliacco vantaggio di vedere le opere di un regista senza logica cronologica permette di decidere: perdonare o condannare, spesso riconoscendo tra le ingenuità, se non la soda maturità, lo sprazzo di genio che arriverà.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento