...e fanculo i preti

L'altro film dai contenuti sensibili, visto ieri sera nella sala Film Club del Sivori, è stato "Weekend", scritto e diretto nel 2011 dall'inglese Andrew Haigh. Pellicola caldeggiata da Barabba, entro in sala per intavolare un discorso con lui, finendo a farlo con tutti, con me e gli altri. Buon segno.

Filone omosessuale che giustamente scalpita. Le riflessioni si susseguono. Gay costretti da pregiudizio e discriminazione, dall'ignoranza, a dover ancora "imparare", "abituarsi". Vorrei non essere frainteso: l'indiscutibile aggressione al loro spazio pubblico non può non aver lasciato tracce sul respiro dei loro aneliti, sullo spettro dei loro slanci, sulle note dei loro gridi; di qualsiasi tipo, anche in campo sentimentale mais certainement. Poiché è lì che il cuore esige la massima libertà.
I gay non sono certo i soli a non poter dire tutto a tutti, la bruttura è che il loro segreto dello scheletro ha ben poco (pensate un po', anzi: gambe peli pelle). L'ipocrisia comporta molti silenzi; quello loro imposto è il più odioso perché pretende di zittire un'anima (quindi frantumata). Questa violenza è sedimentata nei secoli dei continenti (l'Europa illuminata e civilizzata è regina della vergogna).
Chiacchiere alte e chiacchiere no. Come tutti in ogni dove. Normalmente. Stereotipi su cui tutti noi galleggiamo, colpevole diabolica inerzia che ci rende sempre un po' più falsi.
Premesse queste riflessioni personali, la pellicola a mio parere manca di un guizzo, di qualsiasi tipo. Un fatto o una meraviglia. Sono io a non vederli, ok. Ritiro lo sguardo sino alle retine e vedo la realtà, nessuna impressione visiva (se non quella di un ruvido low budget fine a.).
Il discorso, ad ogni modo, è intavolato. Discorso sociale, cinematografico; discorso d'amore. Come scritto di recente, la "letteratura cinematografica" omosessuale deve ancora scrivere infinite pagine, sulla stessa identica carta da cui sono stati tenuti alla larga da una fetta di cielo che, in realtà, puzza di profondo inferno. Responsabilità di tutti noi, assurda, se questo cinema non narra ancora, semplicemente, una pura storia di amore libero, euforico o sofferto che sia; ci siamo quasi (il film è lodevole per questo), ma resta una storia intrinsecamente omosessuale. "Universale" laddóve le responsabilità di questo ritardo di civiltà sono di tutti. Non si ragiona su alcun "tempo, o spazio", bensì su come rompere gabbie e silenzi; se fosse stata una storia d'amore etero, non avrebbe retto un minuto: tema dominante è la relazione dei due protagonisti (interpretati alla grande), braccati in casa o nel club, col "mondo esterno" (dove costanti echeggiano le solite grida).
(depa)

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