Lunedì sera, quindi, dopo la prima proiezione di un film dello stesso regista, sempre all'interno della rassegna "Life - Storie di vita omosessuale", è andato sullo schermo "Laurence anyways", terzo lungometraggio che Xavier Dolan scrisse e diresse nel 2012. Un'altra opera che sonda un terreno quasi inesplorato, quello di chi si sente in un corpo estraneo (la fantascienza non c'entra); opera con qualche acuto non riuscito, ma roboante e intensa.
Eccallà...i rallenti musicali di Dolan. Non posso che partire da loro, sempre loro.
Ancora una volta, assodata la padronanza del mezzo, perdonato qualche eccesso e riconoscendo la rilevanza dei temi e delle dinamiche, dei sentire raccontati, resta il fatto, secondo me, che qualcosa nella scrittura risuoni poco armonioso. La costante tensione che, assieme alle fulgide e grandiose, quasi dilatate, immagini, rende la visione d'un film di Dolan un'apnea emozionale, in questo caso viene meno. Causa punti di mancato incastro. Il ritmo riparte ma non è più lo stesso. Sia chiaro, la grancassa dei sentimenti dei due protagonisti rimbomba eccome. Due attori bravissimi. Melvil "Laurence" Poupaud, col suo coraggioso salto nell'abisso dell'omofobia, e Suzanne "Fred" Clément, trascinatrice gioiosa, confusa, ferita, capace di abbattere anche i muri invisibili, quelli inimmaginabili sino al momento. In questo senso, per il sottoscritto, sta il pregio di quest'opera, più che nella sua realizzazione.
Parlo così di un regista che mi ha folgorato e che non esito a sponsorizzare; il cui cinema dei volti e degli indugi, dei primissimi piani su sorprese, smarrimenti e disperazioni, è comunque in grado di sopperire ad una scrittura un po' farraginosa, qui più restia di altri casi a coinvolgere (divertire no). Sfilacciato intenso, quindi, come stelle filanti e fioccanti, qui e là come d'incanto, per poi scendere e ricordarci che nulla è stato. Qui qualcosa è rimasto, eccome, soprattutto per tutti i discriminati della terra. Ma sul fondo. Senza salire, come nella "Mamma" del 2014, su su, mongolfiera libera e rabbiosa, sin dove lo permette la gabbia che sovrasta.
In un film due ore e mezza lo sfilacciamento è particolarmente debilitante. Tuttavia, se non ci fossero "contraltari", si uscirebbe dalla sala. Così come sul rallenti dell'ingresso a scuola della nuova Laurence (i volti attoniti degli studenti, sequenza piuttosto bruttina), si rischia sulla cascata d'acqua sul divano e, poco dopo, l'episodio del mattone rosa decreta ufficialmente una sbracata che, sorprendentemente, accolgo con un "Ohhh, meno male, è umano".
(depa)
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