"L'ultima volta che vedo Genova"

Invece ieri sera solo con Valéry. La sala. Il Cinerofum a guardare. Uno sguardo attorno si posa sempre su di un film. Il DVD a prevalenza azzurra di "Le invasioni barbariche", pellicola del 2003, permette di far accomodare in sala Denys Arcand, regista canadese classe 1941. Prego, Denys, siediti dove ti pare: davvero bello il tuo piccolo grande film...

Fu Matte "Benza" a suggerirmi e prestarmi questo film. Quindi un grazie sia distribuito pure a lui. Ma sì, giusto! Lui è psicologo. E se ogn'e tutta l'arte guarda al sé di ciascuno, alcuni ci si dedicano meglio.
Chissà perché, una telefonata (asciutta e sintetica) e una lunga sequenza introduttiva tra i corridoi di un ospedale, e penso che mi aspetti un bel film. E così sarà. Provo a ricercarne proprio i perché. Forse per la grande caratterizzazione, costruzione  e approfondimento, dei personaggi, dai due protagonisti, ai minori ai bordi. Risultato ottenuto con dialoghi scelti e silenzi densi (anche questo può rientrare nei perché). Poi paesaggi, dettagli, scorci (fotografia) che, senza farsi notare, sono intermezzi che ben incorniciano gli ottimi momenti (la Goretti e le ex-amanti del protagonista, o quel bicchiere di vino...). Insomma, forse che sia la sceneggiatura intelligente e ben ritmata? Il percorso centrale del racconto offre più piazzole d'interesse, diverse panchine riflessive dove soffermarsi: su tutti, gli imprevedibili incroci tra Denaro e Morte; poi l'amicizia, urka quanto è importante; inoltre droga, economia, politica, sesso, guerra, istruzione, ideologia, speranza, lotta, illusione, odio, avidità, religione, amore. Una di quelle pellicole che, senza somministrare sostanze di pessima qualità, ci rende un po' più pronti, se non migliori.
Ah già, è anche un film sull'eutanasia, ponendo un quesito che, forse, tanto barbaro non è: si deve vivere la morte?
(depa)

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