Pasqua in famiglia. In sala Valéry, la sera, in barba ai voleri del detto: pasqua in famiglia. Tutti gli affiliati presenti: "Quei bravi ragazzi", gangsta-movie diretto da Martin Scorsese nel 1990 e divenuto paradigma del genere, racconta di Cicero e della sua cosca, italoamericani mai cresciuti, bulli di Brooklyn sulla falsa giostra del delitto che, al contrario di quanto intitola il romanzo da cui, non paga...
Il giovane smunto e asmatico Scorsese, preda facile della Little Italy anni '50, ben conobbe la retorica, le smorfie, il portamento e, soprattutto, le norme che regolavano le gang lontane orfanelle di "Cosa nostra". Ecco uno dei motivi per cui lo spettatore può trovarsi al di là, nel privé, proprio tra Jimmy, Henry, Tommy e gli altri, i bravi ragazzi insomma. L'aria da lama di rasoio che si respirava tra quegli sguardi simpatici e spaventosi è servita, dal regista newyorkese, restando per lo più in ombra, come dev'essere. Alla luce del sole solo i gesti che confermino l'affronto, la sfida lanciata.
Una comunità connivente, ingannata da falsi valori e guadagni, tutt'attorno branchi d'ipocriti e mandrie di corrotti, la logica schietta e semplice del dollaro e del revolver; il dialetto siciliano acquista una sonorità che, effettivamente, pare la soundtrack di un film truce e gaio (perché no?) che resta nel tempo. Uomini e donne non all'altezza travolti dall'inebriante atmosfera degli anni '60 nella comunità italiana a New York, imbellettata e criminosa. Scorsese ci pone al centro di una delle tante bande (più sopra? un'innominabile zona oscura), con taglio realistico, quindi sprezzante, urlante, violento ed ironico (il parrucchino cedevole al primo intervento di Jimmy o lo spuntino imprevisto a casa della mamma di "Tommy" Pesci/Scorsese). Tutto finirà come prevedibile, ma il tuffo nella mala vita di quei tempi e luoghi offre due ore e mezza di galleria antropologica tutta da studiare (donne e mogli sono fantastiche).
Irrealizzabilità di sé e assenza di autocontrollo: l'uomo allo stato selvaggio metropolitano. In tal senso, Goodfellas sta per "piccoli uomini", i quali se interpretati alla grande (Oscar a Joe Pesci inevitabile), se diretti da un regista abile quanto "addentro", possono comporre un affresco autentico e convincente, vitale e criminoso, dove italo-irlandesi e mangiaspaghetti scherzano e sparano, rubano e ammazzano, senza infamarsela mai...
Un crescendo di violenza estatica e paranoica (effetto stupefacente) che è nelle corde del dirty autore, del mean Scorsese, lontano da giudizi e patinature (tranne forse il tono finale, con Henry diretto al pubblico, in camera).
(depa
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