Quella di ieri sera è stata una sorta di prova del 9. Dopo 7 anni, intensi, intensissimi, io ed Elena ritorniamo di fronte a quel film che, ai tempi, mise lei in guardia da me, e me dai consigli di Marigrade. Usciti dall'Anteo, in quel 2007, lei mi guardò strano, io telefonai alla consulente, seppur personalmente soddisfatto. Ebbene, "Il grande capo" (2006) di Lars von Trier, pare essere maturato col tempo, per entrambi! Incredibile.
Lo ricordavo più lento, più bloccato, meno frizzante. Il senno di poi suggerisce: il pezzo di legno ero io, in sala. Perché questa commedia del regista danese ha carattere, altroché; basta ascoltare i pochi intermezzi vocali: sono passaggi leggeri e stimolanti, che non nascondono i sassolini rimossi dalle calzature dell'autore stesso (non rompetegli le scatole a proposito della vostra idea di commedia).
Storiella d'ufficio e di vita, su cui arzigogolare ciascuno colla propria psicologia, tema libero, foglio bianco, come le pareti di questi interni tra cui s'aggirano buffi personaggi stilizzati, ma con tutti i loro spigoli. Quindi montaggio nervoso, scenografia all'osso, parole ed immagini a ritmo sincopato: non si può raccontare altrimenti l'assurdità che ormai ci tiene compagnia più di 8 ore al giorno.
Altro gran quadro Von Trier, algido e ironico.
(depa)
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