Questa sera, ancora Jarmusch. Ed è stato un piacere, perché il film è uno di quelli che viene voglia di raccontare ad un amico: "Daunbailò", del 1986, confermò la voglia e la capacità di Jim Jarmusch di raccontare storie e personaggi con tratto leggero, ironico e semplice. Spingendo al sorriso, ma con retrogusto che si di "gioco alla vita", cui partecipare, in ogni caso.
Vale la pena di volare
Martedì scorso, in sala Uander, si è proseguito il discorso Alain Resnais, doveroso dopo la scomparsa dell'elegante e vivace regista francese, avvenuta a Marzo di quest'anno. Anche Elena davanti alla rappresentazione de "Gli amori folli" (2009), così alieni da calcoli precisi, così belli da vivere e...osservare.
Gambini era uno squilibrato!
Quella di ieri sera è stata una sorta di prova del 9. Dopo 7 anni, intensi, intensissimi, io ed Elena ritorniamo di fronte a quel film che, ai tempi, mise lei in guardia da me, e me dai consigli di Marigrade. Usciti dall'Anteo, in quel 2007, lei mi guardò strano, io telefonai alla consulente, seppur personalmente soddisfatto. Ebbene, "Il grande capo" (2006) di Lars von Trier, pare essere maturato col tempo, per entrambi! Incredibile.
Gli incubi di Noodles
Serate di grande cinema in sala Uander. La scorsa solitaria settimana s'è conclusa con un celebre, quanto lungo, film Sergio Leone, del 1984: "C'era una volta in America" è una delle tante, ma ricostruite come poche, epopee di un uomo qualsiasi, nato e vissuto in epoca e luoghi unici, la New York della metà del '900.
J.J. andrà fino in fondo
In queste serate di fresco relax agostano, la sala Uander dà il meglio di sé. Se poi, dopo tortelli ai funghi con pomodorini e robiola, la pellicola in programma è un filmone anni '70 e, per giunta, la sua nomea, dopo questa visione, è da me umilissimamente ma ampiamente avvallata, allora la serata può dirsi perfetta. "Chinatown" di Roman Polański, del 1974. Un classico e moderno giallonero di gran fregio, dall'accurata atmosfera Los Angeles '30, sorretto da pilastri solidissimi, tra cui l'affascinante sceneggiatura e la grandiosa interpretazione di Jack Nicholson.
Argentino col botto
Alèèè! Ce l'ho fatta! Adrianaaa! (?) Ultima recensione dedicata a Cannes 2014. Curiosamente, questo è stato il film che più ho apprezzato. Partire col botto, per poi scendere di qualche metro, come ormai ho già scritto, non ha inficiato sul mio giudizio complessivo sulla rassegna, seppur priva di picchi magici. Ma "curiosamente" fino ad un certo punto, dato l'abito più che sportivo, adatto a tutte le ore, indossato da questa pellicola che, se punta facile, non sbaglia una mano. "Wild Tales", del trentanovenne argentino Damián Szifrón, è un'antologia pulp che vi spedisco a vedere.
"Ce l'hai", all'inglese
Piano, piano, sto per giungere alla fine delle tormentate recensioni tratte da Cannes 2014. Il secondo film che vedemmo, in quel lontano 15 giugno, io e Marigrade, fu "Catch me daddy", diretto dal britannico Daniel Wolfe. Pellicola che nella fotografia offre il suo lato forte, nella sceneggiatura quello inesistente. Nulla di imperdibile.
"Te l'avevo detto!"
La settimana scorsa, per terminare degnamente una preziosa settimana cinematografica, ho aperto la cartella Woody Allen e premuto play su "Melinda e Melinda", film del 2004. Dovevo essere proprio stanco quella sera, sempre in sala Uander, in cui mi addormentai di fronte a questa che vorrebbe essere anche tragedia, ma che tiene compagnia come la più vivace delle commedie.
Liberi e giusti
La sala Uander, in questo brutto ma fresco agosto, è in grado di regalare grandi emozioni. Facile, direte voi, se si invita sul fido divano un regista dalla stessa affidabilità. Stanley Kubrick fu un regista tutto da scoprire, anche quando parlò di un uomo mitico, giusto e libero, che lasciò ai posteri una delle lezioni fondamentali impartite all'umanità: "Spartacus", del 1960.
Ma cova c'è da videve?!
Bello quando due amici rimangono nella città deserta. Pizza e birra e cinema. Nella nuova sala "Blauzer" di via Vetta d'Italia, il buon Albert Monzy mi accoglie con un film che definire dissacrante è poco, pochissimo. Firmato dall'irriverente team dei Monty Python, nel 1979, "Brian di Nazareth" pare levare tanti bei sassolini dalle scarpe di coloro i quali, più si voltano indietro a tirare le somme sulle sacre questioni della fede, più sentono tanfo di potere e ipocrisia.
A Oldman ed Halliwell!
Due settimane fa, l'"Oberdan", prima di lasciarmi fuori a squagliarmi senza immagini davanti, mi salutò con un film intrigante, stranamente coinvolgente, simpatia per i magici anni londinesi dei Beatles, per quella spinta nuova, per Joe Orton e Kenneth Halliwell, drammaturgo tra coloro i quali pressarono contro la rete, in ogni caso. Il regista Stephen Frears, Leicester 1941, nel 1987, ci raccontò di tutto ciò, sotto forma di racconto biografico, e di ottima pellicola, pour moi. "Prick up".
Sbandati di classe sulla Milano-Sanremo
Solo soletto in quel di Milano agostina, butto un occhio sul fido "Oberdan", che offre due film dei quali il primo è un italiano presentato con parole gentili, "Io sono l'amore", pellicola del 2009, diretta dal palermitano Luca Guadagnino. Titolo roboante che avvolge un film ambizioso quanto basta, tutto sommato capace di non sprofondare nella classica melma nostrana.
La quercia adulta di Kubrick
Quanto tempo: è ritornata la Sala Uander! impensabile non farlo "col botto"...Nel 1968 Stanley Kubrick squarciò il tempo, chiuse un cerchio immaginario e ci consegnò un lento, ammaliante, angosciante viaggio nello spazio infinito. Ma tutto partì da ossa e pietre..."2001: Odissea nello spazio".
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