Il "dio visibile" di Bresson

Facciamoci un po' una chiacchierata sull'ultima pellicola del regista francese Robert Bresson: "L'argent", del 1983. Come al solito, il tocco del teorico del cinematografo è riconoscibilissimo e, ormai, sappiamo quale sarà il suo effetto su di noi: sembrano carezze quelle sequenze poeticamente lente e dal montaggio delicato, poi ci si accorge che, sotto gli abiti, sulla pelle abbiamo lividi.
Tutti dovrebbero aver visto questo film, che rappresenta il concentrato delle caratteristiche del cinema bressoniano, il minimalismo applicato alla recitazione, al dialogo, alla rappresentazione, alla sintassi cinematografica. Ma non alla semantica, e qui sta la grandezza di Bresson, lo spettatore guarda e, se ne ha voglia, ha la possibilità di scandire la società tutta, i suoi controsensi, le sue ingiustizie, sinanche le sue atrocità.
Pare che il regista di Bromont-Lamothe conosca alcuni anfratti del linguaggio cinematografico sconosciuto ad altri, perché se altri mettono insieme le lettere espressive del cinema per formare nuove parole, Bresson crea ideogrammi nuovi, passa ad un alfabeto nuovo, per essere in grado, ad esempio, di raccontare cos'accade tra le lettere classiche: nel suo montaggio (affidato a collaboratori vari), quelle ellissi narrano più di qualsiasi immagine, il suo intento è quello di far sì che il pubblico sia obbligato a colmare quel "salto", quell'omissis, aprendo la porta di una vera e propria dimensione altra. Senza perdere nulla, anzi, sul piano estetico. Una sequenza d'esempio: lo sfortunato protagonista è accusato dal ristoratore, indignato si alza, stacco, primo piano sulla sua mano, stacco, si vede un tavolo che cade con conseguente rumore di vettovaglie, due gambe, del ristoratore, si rialzano e rimangono lì attonite (sì, le gambe!). Meravigliosa.
Ciò che emerge da questa pellicola è tutto il male che comparve sulla terra assieme alla moneta. Il "dio invisibile" muove tutto e tutto distrugge. Bresson spiega anche che, in particolare, può avere effetti più devastanti sui poveri, ma precisa che ciò è dovuto a tutte le altre traballanti impalcature, sempre figlie di quel dio, della società perggiore che potessimo edificare. Ché poi il conto lo presenta a tutti, solo che i più fedeli a lui, i "ricchi", non se ne accorgono.
La prima parte del film è più leggera dei classici "Bresson" (sempre che l'osservatore attento non abbia già colto lo "sprofondo" tra le immagini, di cui sopra) e pare si possa respirare a pieni polmoni, liberi in volo, e siamo sull'apostrofo dopo la "L", poi il piano inclinato si avverte, la lettera "A" di Argent dà il via alla caduta del protagonista, inesorabile. E la tragedia umana-bressoniana si compie, al pubblico tocca la sofferenza di vedere Yvon, vittima come tante, cercare, in preda all'astinenza acquisita, il proprio padrone nella casa di chi l'ha accolto senza tornaconto: "L'Argent".
(depa)

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