A metà tra film e documentario, "Il Demonio" di Brunello Rondi (1963) è una pellicola dalle tinte forti, che non concede nulla allo spettacolo se non nel senso fotografico, con paesaggi assolati (siamo in Basilicata), ripresi con panoramiche suggestive, lunghi campi, alberi rinsecchiti che si stagliano in cielo disegnando curve stregonesche, una nuda e pura desolazione, ancor meglio della drammatica situazione della protagonista, ragazza sola e schivata da tutto il paese perché ritenuta in qualche modo compromessa col maligno. Così la vediamo aggirarsi sola senza meta tra i campi deserti, preda frequente, di vere possessioni demoniache. Perché è di questo che il film ci parla, anticipandolo debitamente nei titoli di testa: dei riti, delle superstizioni ancora oggi resistenti nei paesi più abbandonati dell’Italia meridionale.
Daliah Lavi, strega presunta e vittima di un esorcismo improvvisato (avete presente il famoso passo del ragno nell’edizione integrale dell’Esorcista? Eccolo qui, dieci anni prima, in tutto il suo splendore) è si la protagonista ma anche un pretesto per non cadere in un documentario tout court. Parlato poco, indubbiamente datato, il film di Brunello Rondi mantiene ancora oggi un fascino perverso che le musiche di Piccioni rendono angosciante. Da brivido.
Visto. Bello. Ma i miei commenti si fermano qui, per protesta al plagio qui sopra.
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