Tante cose da dire, scegliere e raccontare. "Roma città aperta", del 1945, è un storia di persone ritagliata dalla realtà dell'occupazione nazi-fascista in Italia. Primo vero simbolo, e forse il più alto, dell'espressione di quella parte di cinema che poi prese il nome di neorealismo. Il nostro Rossellini, dipingendoci una Roma che resiste, ci porta sullo schermo immagini "vere", sentimenti, emozioni strazianti, speranza. Tutto con grande maestria, come se fosse l'uomo che abita nel palazzo di fronte. Il susseguirsi di eventi, location, personaggi, promuove una dinamicità della storia che viene supportata da una fotografia che inquadra sempre uno scorcio di "paese". Si passa da un indimenticabile Aldo Fabrizi ad una Anna Magnani che si sacrifica entrando di fatto nella storia del cinema.
Si, perché la scena in cui Pina rincorre il suo amato e viene fucilata è toccante, straziante, carica di una tensione che ti fa rimanere con il cuore in gola. I tedeschi sembrano non trovare niente nel palazzo, poi, all'improvviso, mentre Pina aspetta in strada fra una chiacchiera e l'altra, ecco che si giunge all'arresto. La camionetta parte. Pina si rende conto di cosa stia succedendo. Inizia a correre. Corre. Grida. Viene uccisa. Prima che Pina venga fucilata, mentre è in scena la sua rincorsa, si riesce a contare fino a tre. Uno, due, tre, morta. Straziante, ma come se non bastasse, come se i sentimenti indotti dalla scena non siano abbastanza densi, ecco che arriva il bambino urlante che prende fra le sue braccia la madre. Forse una delle migliori scene del cinema. Tante immagini e scene da ricordare e da portarsi dietro. L'ultima su cui mi soffermo riguarda anche i tedeschi. In più scene la macchina da presa segue l'ufficiale tedesco che oltrepassa una porta. Quella porta divide due mondi. Da una parte c'è la musica (pianoforte), le donne (a pagamento), bere, abbondanza, mentre dall'altra il rumore delle bombe, i bambini che si rifugiano sui tetti, le donne (quelle vere), il comitato di liberazione. Mi ha affascinato molto questo taglio sottile che Rossellini ha usato per raccontare le due parti presenti in una guerra. L'occupante o l'occupato. Ma non solo per questo anche perché poi il tema della contrapposizione tra due parti, la si trova in ogni storia, in ogni situazione che viene raccontata dal film. Partendo dalla contrapposizione morale (Pina vs Marina) fino ad arrivare alla contrapposizione squisitamente idealistica (scena dei militari che circondano ed entrano nel palazzo dove abitano Pina e Francesco. Le truppe sono miste nazisti/fascisti e c'è pure qualche carabiniere forse non troppo convinto. I fascisti passano in colonna per salire le scale e uno dice al carabiniere..."tu stai qui, che non mi fido tanto di te".... contrapposizione velata ma che mi riporta al contrasto fra chi era nelle truppe fasciste e chi invece come carabiniere o soldato dell'esercito, collaborava con i partigiani per un disegno più grande. La nostra libertà).
(Albert D'Aporty)
Grande Albert, grazie per il contributo.
RispondiEliminaIeri sera pienone in sala “Blauzer”, dal nostro caro Albert Monzy Cony Zugna, che ci ha deliziato con stuzzichini d’alta qualità, e due new entry: coinquilino e sua amica (Corrado e Denise), benvenuti.
Come se saltassimo da una colonna all’altra di un ormai malandato Partenone cinematografico, eccoci poggiare il piede su “Roma città aperta” di Roberto Rossellini, del 1945. Un grazie al regista romano è riduttivo. Se un regista ci “porta per mano” (Naso) e ci fa tremare le mani per tutto il film vuol dire che gli dobbiamo almeno offrire medie per tutto il venerdì sera alle erbe.
Si parte con la proiezione immersa nel caos della sala…alcuni dicono “Vabbè lascia, lascia, intanto non è successo niente”…beh, nessuno mi ha poi ringraziato: la sequenza iniziale è puro succo di VII arte. Il plotone tedesco…il furgone che si ferma, il poggiolo con la persiana che si schiude…la vecchia che guarda giù, per me sono brividi, perdonate la retorica, ma sgorga da sé. Dire che non è successo nulla è un po’ come sbagliare mira, è come andare a caccia con un fucile dal mirino mal calibrato. Nel cinema non deve succedere qualcosa, sta già succedendo. Che il regista sta girando. E’ importante come.
Esempio: la scena in cui il prete ed il bambino (Marcello) scendono dalle scale mentre gli ufficiali tedeschi le salgono; giuro! Non succede nulla! Chiunque avrebbe potuto dirmi “Loro due sono scesi e si sono infilati in casa mentre i tedeschi stavano salendo”. Ora guardate quei fotogrammi: ecco, credo vi siate fatti un’idea. Forse è solo la differenza tra il farsi raccontare e l’esserci (allo stadio o su Sky…), ma nel cinema è ancora un’altra magia: chi racconta si fonde con chi ascolta, ci siamo solo se ci facciamo raccontare.
La trama è reperibile ovunque nella grande rete. Come al solito, invito a fare un salto mentale nel passato, provate ad immaginare di vedere questo film quando uscì. Se non sentite nulla vuol dire che in realtà non ci state riuscendo. Riprovate, finché non vi viene la pelle d’oca, finché non avete le vertigini. Perché la scena di Pina che si precipita fuori dal cortile, ad inseguire il carro nazista con gli arrestati, non può non far toccare con la punta della mano il fine ultimo che la nostra arte si prefigge. Dove tutti gli altri hanno provato, Rossellini e la Magnani sono riusciti: ci alzano in braccio per farci toccare l’emozione-Everest mai conquistata in sala. Sensazione unica (“Ahhhh”).
Qui l’attrice romana si consacra miglior attrice non protagonista della storia del cinema.
Ma tutto il film è pregno di polvere e sudore rappresentati con la sofferenza che dagli attori e dai colori cola sugli spettatori.
La scena in cui Marina accoglie in casa i due partigiani a suon di musica e cocktail: rappresentazione somma di un contrasto; si rimane a bocca aperta, in successione: sgomento, impotenza, rabbia! I sentimenti di quella donna non s’intersecheranno mai con quelli dei due uomini: sui loro volti la morte, sul suo lo shopping (Non è febbre, stupida!).
Le battute: Sacrestano – “E che succede?”, Brigadiere – “Eh non lo vedete? Hanno assalito il forno.”, S. - E voi che fate?”, B. – “Eh, io purtroppo sono in divisa...”.
Il sacrestano prende due pasticcini dalla cesta di una donna uscita dal forno: - “Ahò Agostin’, ma perché non te li vai a piglià da te eh?!” – S. “Io mica posso, io so’ sacrestano, poi vado a fini’ all’inferno.”, – “Beh allora i pasticcini te li magnerai in paradiso!”.
Vietato non averlo guardato. Divulgate. Fa bene al cinema, fa bene a tutto/i.
(depa)
Difficile aggiungere altro. Il film rappresenta una pietra miliare che va analizzata in tutta la sua interezza. Periodo storico, guerra in corso, fascisti tra i piedi, nazisti che non muoiono mai... Questo insieme a C'era una volta in America sono per me i migliori film di sempre.(Due Italiani). Il film è di un drammatico devastante, scene struggenti, ma nonostante questo ci sono delle battute formidabili. Il contrasto tra comicità e drammaticità si può toccare quando Marcello dice al prete:"Ahh Don Piè! Ammazza che padellata gli avevte dato" (grasse risate). Subito dopo c'è la prima morte. La famosa scena della Magnani. Storica. In dieci secondi le emozioni dello spettatore passano da un picco all'altro. Questa è pura arte cinematografica.
RispondiEliminaCome ultima cosa voglio sottolineare la grande fortuna dei tifosi romanisti che hanno sulla locandina di questo film i colori della loro squadra. Motivo di grande orgoglio. Che culo.
Film ambientati ai tempi della seconda guerra mondiale ne hanno fatti e ne ho visti un fottio, ma con “Roma città aperta” per la prima volta ho vissuto veramente il dramma di quell’epoca. Neanche i tanti racconti che ho sentito da persone che hanno vissuto quegli anni avevano mai dipinto nella mia mente un quadro così reale, preciso e drammatico.
RispondiEliminaUn dramma popolare della Roma più viva (quella che, per un triste paradosso, da qualche anno è di prevalenza neofascista) che guardandosi intorno vede palazzi devastati dalle bombe, soldati tedeschi incazzosi e pericolosi, il coprifuoco, tutte cose che aumentano la difficoltà della abituale lotta alla sopravvivenza. Ed infatti la Sora Pina (superba Anna Magnani… quel “Ma va a morì ammazzato!” al soldato tedesco è un fantastico!) non ha paura. E’ solo stanca, tanto stanca, ma questa, preannunciata con decisione ed orgoglio al suo amato Francesco, mancanza di paura le sarà fatale ed il regista rende meravigliosamente il dramma del momento. Struggente.
Rossellini non manca di mostrarci anche l’altra parte della barricata (i nazidimmè!), ma soprattutto l’altra parte del popolo, quella che: comunque sia bisogna godersi la vita, aver voglia di brindare con un buon liquore regalato di recente e chi se ne frega se intanto degli innocenti continuano a morire e a lottare per un futuro migliore PER TUTTI!
Don Pietro (superbo Aldo Fabrizi...) si espone in primissima persona per istinto, in nome di quel Dio che è un’idea di bene e amore assoluto, quel Dio che Faber cantava nelle sue canzoni, quel Dio che pregano i (veri) Rasta, un Dio non vincolato da giochi di potere o regole che non sia il fedele a scegliere, un Dio che esiste. Un Dio che allora soffriva nel vedere le malvagità del genere umano e con quella sofferenza gli ha dato un’irripetibile chance di cambiare le cose, portando lo scontro tra il bene e il male, l’eguaglianza e le discriminazioni, il profondo e il fatuo, l’altruismo e l’egoismo ad un livello per il quale ci doveva essere per forza un vincitore e un vinto… La fuga dei bambini verso la magica capitale dopo aver regalato l’ultimo momento di commozione a Don Pietro è la speranza, ma quale strada poi il genere umano abbia scelto è purtroppo noto a noi tutti. Basta guardarsi intorno.
Bohm. Ci ho un po’ spaziato: “colpa” delle coinvolgenti emozioni che mi ha trasmesso questo capolavoro del cinema italiano.
Uscì nelle sale italiane il 27 settembre 1945 e immagino l’emozione e la commozione che deve aver suscitato allora nel pubblico, a così poco tempo di distanza dalla fine della guerra e dell’occupazione nazista….