“Attenzione alla puttana santa” di Rainer Werner Fassbinder, 1970. All'inizio spiazza questo film, non c’è che dire. Ma poi lo stordimento ti avvolge in maniera tale da ritrovarti nella dimensione film e, già per questo risultato, il regista ottiene un buon risultato. La “Puttana Santa” per me qui è espressione di paradosso, del contrario. Quel contrario che spesso causa conflitto e confusione, ma tal caos se incanalato dalla cinepresa può sfociare in distillato di cinema, che è espressione soggettiva e partecipata di tutti i membri di una troupe cinematografica.
Il film può essere inteso come documentario sulla preparazione di un film (“Patria o Muerte”). Ma Fassbinder, qui anche interprete (svitato!), forse ci vuol dire che i preparativi del film sono un film nel film. Ma, nota bene, qui non si parla del “making of” vero e proprio del film (sennò nulla di nuovo, direi), ma qui è la preparazione/attesa (nel senso strettissimo del termine) del film; addirittura il film rappresenta gli attori, i tecnici, il regista, il produttore, nella hall dell’albergo in cui verrà girato il film (ci sono solo loro), nell'attesa che arrivino gli strumenti (macchinari e pellicola) dalla Germania! E Fassbinder ci mostra tutte le implicazioni che ciascuna problematica individuale comporta sulla realizzazione comune del film. Quindi c’è il regista Jess che (essendo il regista?) di paranoie e schizofrenie ne ha quante tutti gli altri messi assieme. Poi c’è l’organizzatore Sasha (Fassbinder in persona) che prima dovrebbe riorganizzare le proprie di idee (a suon di urla spacca timpani). Infine c’è tutta una pletora di attori che vanno dai sessualmente indecisi all'attore navigato perplesso, dall'appassionato tecnico che riceve solo insulti all'attrice oggetto che accavalla le gambe sul bracciolo di ogni poltrona, per poi giungere scontatamente tra le gambe dell’attore principale (non il più bello).
In mezzo ai protagonisti i loro problemi: cuba-libre si infiltrano tra un’inquietudine e l’altra, vedute discordanti sulla realizzazione, sesso mania che muove i rapporti, non ultima la difficoltà legata alle differenza linguistiche.
Ritornando al paradosso il film inizia con un racconto/barzelletta da parte di un fricchettone: mi ha fatto sorridere e rappresenta bene l’idea di soggettiva confusione che ciascuno racchiude in sé.
Certo, un po’ d’accozzaglia sullo schermo si avverte, ma solo il regista bavarese sa se voluta o no.
Forse lui crede che le problematiche nascoste dal “sipario” siano quelle riscontrabili ai tavolini dei bar o alle scrivanie degli specialisti, quindi tra due ennesime carrellate da una parte della Hall all'altra, ci butta sul piatto anche un quesito universale: “Cosa ne pensi della politica estera spagnola?” “Per me è buona, non so se sia giusta.”
Non so se sia un manifesto o un j’accuse: ma il regista tedesco dichiara che il cinema è “Brutalità”, ed inoltre “Come faccio, se non posso nemmeno spaccare qualcosa???” (Jess). Fassbinder ci mostra anche come, più o meno forzatamente, si tenda ad appendere cherubini ai fotogrammi come fossero l’intrinseca cornice per “ogni settima arte”; conoscendolo anche poco, possiamo asserire che non sia un suo comandamento…
Ma sì vabbè, qualche scena è inspiegabile, se non al regista (quello vero!): su una terrazza il regista fa per colpire l’organizzatore (il tutto molto teatralmente), che reagisce e scoppia a ridere (?!). Amore/odio e riso/amaro tra i membri della troupe? Peut-être, tutto fa cinema. Non solo il regista.
(Depa)
(Depa)
BarMan! Dammi un CubaLibre
RispondiEliminaAh! Da non dimenticare la scena in cui gli attori sono gettati a mo' di stracci su di una terrazza sul mare, sono carne, sono arti in balìa del regista che li guarda dall'alto, li tiene lì recintati, in trappola, sullo sfondo acque scure: le loro vite fuori fuoco.
RispondiEliminaCi vedo un qualcosa della zattera gericaultiana...dietro il sipario v'è un naufragio umano.