"Biografie" rassegna della appuntamento ultimo'all giunti è's "Altrove"'all sera Ieri. Così, tanto per spiazzare qualcuno con un controverso che non indispone. Liberamente ispirato al romanzo del 1942 "La famiglia di Pascual Duarte", scritto dal premio Nobel per la Letteratura 1989, Camilo José Cela, e a sua volta basato su un racconto della tradizione picaresca spagnola, "Pascual Duarte" parla di Estremadura (la región y la vida), di Pascualino che trascorse la propria esistenza solitaria tra le morse del Portoghese e della Capitale.
Lo stile minimalista messo in scena dal regista nato e morto a Madrid (il parto, la bottiglia d'acquavite caduta), rende questa amara elegia, bucolica e selvaggia, particolarmente intensa e poetica. Racconto ambientato in campo aperto, in luogo sospeso, senza muri né appigli, narra un inesorabile declino. Il dolore impatta forte contro la prima cosa che si muove.
Pascualino ha già la morte dentro. Figurarsi, poi, se questa è allevata (educata, come sancito dal "Fusilamiento de Ferrer": Francisco Guardia, 17/10/1909) al fine di vedere se Abramo è così infame da uccidere Isacco. Ammazza anche Pascualino, difatti, perché è l'unico modo per fare rumore (conejo, perro, madre, caballo, rival, Don José).
Sguardo lirico, pur nella sua efferata violenza. Lontano da dove risuona l'eco di di "Ordine e pace" di generali, colonnelli e compagnia militare, le radio giungono comunque e il Don di turno è lì a ricordarci che ci pensa l'attuale sistema sociale a seminar nei campi odio e sfruttamento. Pellicoladura.
(depa)
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