Al cineforum del Circolo Familiare di Unità Proletaria di Viale Monza, ieri sera, ha preso il via una serie di incontri dedicati a "L'Italia nel cinema del dopoguerra". Il primo appuntamento è stato presieduto dal regista laziale Giuseppe De Santis, allora esordiente, con "Caccia tragica"; pellicola del 1947, in cui emerge lo scontro fratricida dei reduci e dei superstiti, di chi cerca di risollevarsi, ricominciare, chi a testa alta, chi con la coscienza lercia.Lo sguardo è sulla Pianura Padana, dove centinaia di famiglie cercano di riunirsi in cooperative agricole per far fronte comune contro fame e disperazione. Dall'altra parte della barricata i soliti, banditi e latinfondisti. Erano tempi, per nulla distanti, in cui la retorica dismetteva le ali e si faceva storia concreta di lavoro e pane. De Santis, proveniente dall'area antifascista, era conscio di ciò e cercò di infondere questa consapevolezza in questa sua prima pellicola. La complessità dei rapporti in anni infami, l'impossibilità di una visione manichea della comunità attorno, viene narrata partendo dal basso, tramite figure popolari variegate e ben caratterizzate. Anche grazie all'utilizzo di grandi interpreti professionisti ed efficaci figure non professioniste. Nel primo caso, questa pellicola dispone degli scafati Massimo Girotti, Andrea Cecchi, Vittorio Duse e Vivi Gioi, quest'ultima alle prese col personaggio più complesso, schiacciato tra cieco odio e sete d'amore. Sul piano visivo, distese di campi di generosa madre terra mescolata, anche in questo caso, a vigliacche mine pronte a freddare chiunque (l'uomo, tutt'altro che macchina perfetta, sarà sempre in grado di glissare con un "coi tempi che corrono, bisogna darsi da fare come capita, senza pietà", il prezzo più basso per l'animo più misero). Qualche fugace gioco tra bimbi mascherati, un convoglio di dimenticati determinati a rialzarsi, sono sequenze che rendono umano uno scenario altrimenti bestiale (come la nervosa e sterile morale di Alberto sul treno). Sul finire, le parole di Giuseppe, difficili da digerire (fanno a cazzotti con la rabbiosa e comprensibile voglia di vendetta) ma più costruttive, e la più classica delle liste "e tu...e tu...", al cattolico sapor di "porgi l'altra guancia", introducono alla speranzosa (utopica) scena finale: zolle di terra, di quella terra attorno alla quale tutto dovrebbe ruotare, in faccia al traditore.
Vita, amore e lavoro nel secondo Dopoguerra, temi che verranno portati avanti col successivo e ben più celebre "Riso Amaro".
(depa)
Era da un po' che non succedeva: mi ha appassionato di piu la recensione di depa che il film.. Forse ero troopo stanco per affrontare una pellicola del genere, dai temi cosi profondi e complessi, come complesso era il perodo storico- sociale del dopo guerra nel quale e' ambientato il film stesso. Il pathos nelle scene cruciali mi ha solo sfiorato e ho trovato i dialoghi (e i monologhi) poco accattivanti, nonostante gli argomenti sul piatto fossero molti e importanti. A mio modesto modo di vedere i personaggi principali potevano essere delineati meglio, cioe a me non sono arrivati a dovere... Eh Bubu ma che cazzo dici... Boh non lo so... Oggi ho fumato troopo maybe... A breve guardero' il "ben piu celebre "Riso Amaro" per vederci piu chiaro sul Sig. De Santis...
RispondiEliminaCiao 'rofum.