Allo "Spazio", ieri sera, s'è tornati al Wim Wenders del primo periodo; di quando, poco più che trentenne, entusiasta di poter coronare il sogno di abbracciare la Hollywood dei suoi maestri, con fare un po' spavaldo, un po' presuntuoso, si preoccupava di fare ciò che, dopotutto, non cesserà di fare: "Io vengo dal nuovo cinema tedesco, sono tra i grandi tedeschi, e oltreoceano mi rispettano, beccatevi questo film molto particolare". Insomma un Wenders che fa quello che, in barba alla primissima reazione di pubblico (non grave) e critica (già più). Nel 1977, con "L'amico americano" coronò il sogno di un thriller all'europea, fuori dagli schemi, che abbracciasse Amburgo e Dennis Hopper, New York e N. Ray, Parigi e Samuel Fuller.
7 ed 1 peccati
La scorsa settimana, in sala Uander, la Ele ha fatto notare: "In tele c'è Seven...". - "Ah" ho risposto; " ...e quindi?". Lei, di rimando: "Boh, visto che, al cinema, abbiamo visto un film di quel tizio là...". E allora vediamolo, un altro film dello statunitense David Fincher...correva l'anno 1995.
Blind Willie Johnson, Skip James & J.B. Lenoir
Venerdì scorso, Spazio Oberdan in versione Blues, ma quella tosta, autentica, con note parole, personaggi ed immagini che fanno vibrare pelle e soul. Sempre lungo il percorso delle opere di Wim Wenders, chi era in sala ieri (anche la vecchietta che parla da sola, sempre seduta rigorosamente alle mie spalle: vi amo tutti oberdaniani!), s'è imbattuto in un'emozionante pellicola dal sapore dolce amaro, lo stesso sapore che s'alza dalle parole di tre militi ignoti del Soul: Blind Willie Johnson (1897-1945), Skip James (1902-1969) e J.B. Lenoir (1929-1967), all'altare ormai dimenticato dei quali, s'apprestarono, commossi e rapiti, tutti i più grandi posteri della musica Blues. "L'anima di un uomo", del 2003, testimonia di un Wenders in ecstasy artistica, nella quale, pure io, sono caduto in pieno. Grande.
Italia terra minata
Al cineforum del Circolo Familiare di Unità Proletaria di Viale Monza, ieri sera, ha preso il via una serie di incontri dedicati a "L'Italia nel cinema del dopoguerra". Il primo appuntamento è stato presieduto dal regista laziale Giuseppe De Santis, allora esordiente, con "Caccia tragica"; pellicola del 1947, in cui emerge lo scontro fratricida dei reduci e dei superstiti, di chi cerca di risollevarsi, ricominciare, chi a testa alta, chi con la coscienza lercia.
"A volte mi fai impazzire...!"
Spazio Oberdan in pieno Wim Wenders. "La paura del portiere prima del calcio di rigore", del 1972, è il secondo lungometraggio del "nuovo" regista tedesco e nasce dalla sua collaborazione con lo scrittore Peter Handke (come avverrà per quel "cielo berlinese", con risultato ben più alto). Scoperto questo dettaglio, leggendo la prima riga della sinossi, sapevo a cosa andavo incontro...
"Se vuoi uomini sapeste..."
Finalmente. La Sala Uander ha portato a termine il viaggio nell'opera del grande regista newyorkese Stanley Kubrick, giungendo al tanto discusso "Eyes wide shut", del 1999. Sguardo ampio nel torbido intimo umano, dell'uomo voluttuoso provocatore falso debole di questi tempi foschi, in cui tensioni animalesche sono in perenne lotta, tra morale ed istinto, propendendo inesorabilmente, socialmente (addirittura istituzionalmente) per quest'ultimo. Il sesso impera ed un'esistenza priva di appigli, permeata da un tedio vuoto ed inconsapevole, ci divide.
Salgado immortala
All'"Oberdan" è tempo di Wim Wenders. Tra le opere del regista tedesco in programma, c'è anche l'ultima, "Il sale della terra" (2014), documentario biografico, quindi fotografico, dedicato al fotografo brasiliano Sebastião Salgado, classe 1944. La sensibilità dell'artista cui è dedicata questa grandiosa mostra fotografica on movimento, s'incontra con quella del regista che, assieme al figlio di Salgado, è abile a catturare le sfumature più affascinanti e le linee più aspre.
Ah quando s'alza il vento!
Sempre
settimana, sempre scorsa, sempre "Oberdan". Il caro vecchio
"Spazio" propone l'ultimo film di di Hayao Miyazaki, "Si alza il
vento", del 2013. Il solito vento, la solita acqua, i topoi delle opere
del regista d'animazione giapponese, assieme al volo (sogno), vengono qui
immersi nel reale, infiammato da devastanti terremoti e, soprattutto, da
assurdi scontri bellici. E il risultato è, a parer mio, il suo migliore lavoro,
intriso di speranza e rassegnazione.
"In magica celluloide"
Sono passati 5 anni da quando lo vedemmo, intorno al XXV° appuntamento del Cinerofum. Rimanemmo un po' perplessi, ecco la causa di quella hyper-fava nell'ormai storico storico delle proiezioni. Quindi, andare a ripassare la lezione allo "Spazio Oberdan" è mio dovere; Tuttavia, nonostante il tempo passato e, soprattutto, la pellicola dispiegata, "Lisbon story", diretto da Wim Wenders nel 1994, continua a lasciarmi qualche dubbio, combattuto tra la stimolante sensibilità e la fastidiosa astuzia dell'autore tedesco.
Famiglia sporca di panna
La scorsa settimana, essendo lunedì e trovandosi in programma, sempre al "Circolino" e sempre all'interno della rassegna dedicata a "Woody il serio", uno degli Allen che compresi meno, "Sogni e delitti", del 2007, sono uscito nonstante il freddo e il trambusto fuori, sicuro di ritornare a casa, distratto e soddisfatto.
Arrivano gli eroe!
Ovviamente siamo finiti in quella sala del "Cineplex" soltanto a causa di due biglietti regalo (grazie comunque al collega Ciccio!). Poi, un po' per curiosità, un po' per masochistico senso di sfida, poiché quel geniale critico del week-end (tivù spazzatura) l'ha definito "cinema con la 'C' maiuscola", "meno superficiale di quanto sembri", sino a proclamare che "Angelina Jolie non sfigura dietro la m.d.p...un'altra dote da aggiungere alle sue già numerose" (due di sicuro, aggiungo io). Con la Ele meno timorosa del solito (sigh, peggio per te!), eccoci di fronte ad "Unbroken", seconda prova alla regia della bonazza statunitense, su di un'inspiegabile sceneggiatura dei Coen...
Quella sbagliata
Giovedì scorso, al solito prezioso "Spazio Oberdan" di Porta Venezia, era in programma un appuntamento della rassegna dedicata al cinema della Repubblica di Weimar (1918-33), intitolata "Da Caligari ad Hitler". Periodo cinematografico fruttuoso e scalpitante, cui appartiene anche "Asfalto", intenso dramma urbano diretto dall'austriaco Joe May, nel 1929.
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