Ed eccomi a scrivere sulle impressioni raccolte per il prato del Trieste Film Festival 2015. A causa di un'influenza aggressiva, i tre giorni programmati sono diventati due, come l'anno scorso. Quindi un terzo dei sei totali. Il mio giudizio sull'edizione di quest'anno, peraltro positivo, non potrà che risultare limitato (11 film appena). Sabato 17 Gennaio, io e il prode e preparato compagno di viaggio, papà Laberto, s'è partiti a mattinieri, con un film georgiano che, come prevedibile (avendo trovati sempre buoni i provenienti da quella scuola), dimostra un senso estetico ed un equilibrio emotivo di grande maturità: "Brides" (t.o. "Patardzlebi"), della georgiana Tinatin Kajrishvili.
La giovane regista, classe 1978, al suo esordio nel lungometraggio (ma sezione "Born in Trieste"), ci racconta una storia d'amore attraverso le sbarre, con la sensibilità e la forza di chi ha vissuto tale dolorosa esperienza. Sperimentando (vedi l'incipit dal sonoro escluso, ovattato, poi libero di attaccare la protagonista) e tenendo con mano ferma le briglie del ritmo e dell'intensità. Il riconoscibile grigio Georgia-calcinaccio del primo tempo, lascia, nel secondo, qualche spazio ad un sole pigro, ma almeno sveglio. L'intensità, di cui ho scritto, passa per gli sguardi della brava protagonista verso personaggi (quelli con la madre), oggetti, orizzonti che la circondano, così come dall'attenzione ai dettagli (il rossetto sul bicchiere; la pioggia; le losche figure che attraversano lo schermo contribuiscono a rinfoltire un'atmosfera ottimamente cupa). La commozione può essere vera (la lettura della lettera, il primo riabbraccio, o quello "nuovo"), la riflessione spontanea. La presentazione di quel mondo che sta tra i carcerati e i loro cari, nella prima parte, coinvolge in maniera asciutta; nella seconda parte pare appiattirsi (la sua sbandata e il marito geloso), per poi ridestarsi con la proposta di una giornata del tutto particolare, ricostruita sempre con forza e dolcezza (ellissi delicate).
Consigliato.
Voto: 7 e 1/2 (fuori concorso).
(depa)
La giovane regista, classe 1978, al suo esordio nel lungometraggio (ma sezione "Born in Trieste"), ci racconta una storia d'amore attraverso le sbarre, con la sensibilità e la forza di chi ha vissuto tale dolorosa esperienza. Sperimentando (vedi l'incipit dal sonoro escluso, ovattato, poi libero di attaccare la protagonista) e tenendo con mano ferma le briglie del ritmo e dell'intensità. Il riconoscibile grigio Georgia-calcinaccio del primo tempo, lascia, nel secondo, qualche spazio ad un sole pigro, ma almeno sveglio. L'intensità, di cui ho scritto, passa per gli sguardi della brava protagonista verso personaggi (quelli con la madre), oggetti, orizzonti che la circondano, così come dall'attenzione ai dettagli (il rossetto sul bicchiere; la pioggia; le losche figure che attraversano lo schermo contribuiscono a rinfoltire un'atmosfera ottimamente cupa). La commozione può essere vera (la lettura della lettera, il primo riabbraccio, o quello "nuovo"), la riflessione spontanea. La presentazione di quel mondo che sta tra i carcerati e i loro cari, nella prima parte, coinvolge in maniera asciutta; nella seconda parte pare appiattirsi (la sua sbandata e il marito geloso), per poi ridestarsi con la proposta di una giornata del tutto particolare, ricostruita sempre con forza e dolcezza (ellissi delicate).
Consigliato.
Voto: 7 e 1/2 (fuori concorso).
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento