Ieri pomeriggio, in sala Negri, è tornato a farci visita il regista del surreale per eccellenza, Luis Buñuel. Incompiuto che diventa un mediometraggio che è una spremuta della sua ironia, della sua creatività, del suo stile. "Simon del deserto", del 1964, è un'affascinante sassata che spacca la vetrata della religione.
Nel constatare che "benedizione" e "ordinazione sacerdotale" vengano confusi con tanta superficialità (meglio la seconda!), al regista di Calanda proprio non andava giù. Quindi ecco in scena il mercato delle anime, la religione apparato dalle sembianze burocratiche tutte terrene, la politica (nel senso più moderno possibile del termine) dello spirito santo. Appartenente al secondo periodo messicano di Buñuel, sfoggia il suo tipico simbolismo (rane e formiche...) e la sua classica irriverenza per demolire, col sorriso sotto i baffi, tutte le ridicole impalcature della religione, in questo caso cristiana.
Peccato non sia stato terminato; perché, dopo aver visto "Simon" sbigottito in un club newyorkese, chissà quanti conigli dal cappello del grande regista...Intanto, Leone d'Argento per lui e per voi il consiglio di non perdere questa vivace acuta pelicula.
(depa)
Peccato non sia stato terminato; perché, dopo aver visto "Simon" sbigottito in un club newyorkese, chissà quanti conigli dal cappello del grande regista...Intanto, Leone d'Argento per lui e per voi il consiglio di non perdere questa vivace acuta pelicula.
(depa)
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