L'oro di Bergman

Venerdì scorso, solo la corsa verso un'altra mi ha impedito di tuffarmi nelle euforiche angoscianti sensazioni post "Il silenzio" di Ingmar Bergman , pellicola del 1963. Euforiche poiché c'è da innamorarsi della sperimentazione sottesa a questo film e dell'allegria che può saltellare, di nota in nota, per le stanze e i corridoi dell'indimenticabile albergo senza nazione che fa da scenario allo stesso; angoscianti perché l'autore svedese non si dimentica, certo, anche questa volta di mostrare l'altra faccia, quella di chi proprio non riesce a levarsi la Maschera, a guardarsi allo Specchio scorgendovi il proprio Volto, figurarsi la propria Persona. Un ticchettio, sin dai titoli di testa, ci mette all'erta: sul passare del tempo? Sì ma anche sullo scivolare via, senza tempo, verrebbe da dire, del nostro Io e delle nostre sicurezze. I volti, stupendi o raccapriccianti, vengono impressi proprio per salvare il. Poi, le lancette immaginarie di tutto ciò che scorre lasciano il campo al silenzio. Il grande silenzio, con il quale si possono compiere tante cose (crescere o morire, per esempio), possono accaderne infinite. Questo gioco del suono, tributo alla sua assenza, alla sua imprevedibilità e stramberia. E' un'allegria, come scritto, da vivere tutta orecchi (dettaglio di cui si disinteressa la 70enne a pochi posti da me, e te pareva, dal piede in perenne inquietudine; eppure il titolo è una sorta di monito: vatti a vedere un musical se hai un debito col contapassi!); fantasia del secondo senso, su cui ombre sinistre e corpi variegati danzano caciaroni o in punta di piedi. A metà pellicola, la consueta intima considerazione: "Se regge, è un gran film!".
Allestimento scenografico che è cornice perfetta a quest'avventura onirica (felliniana) negli attimi individuali di ogni età e personalità; viaggio che, per un ragazzino che sta ancora enunciando i propri teoremi, è materia prelibata; per donne mature, quel silenzio che offre un'occasione rara di misurazione di sé (sta a noi, farne tesoro), può divenire un calvario. Mentre là fuori carri, carrarmati, ombre di aeroplani e schiamazzi (rumore!), se ne sbattono alla grande delle espressioni sui volti. Gli adulti non reggono il silenzio, con tutto quell’alcol e quell’affanno!
Come detto, il silenzio può tutto, alzare o abbattere (“Bisogna muoversi cauti tra fantasmi e ricordi!”); ah già, poi c’è quella storia di Dio…
Tra i meno verbosi, per forza di cose, di Bergman, risulta fortemente cinematografico e spietato.
Ha retto sì.
(depa)

1 commento:

  1. Come dissi, qualche giorno fa, ad una compagna di passione per la Settima: “Bergman… ormai mi sono rassegnato al fatto che non sempre lo capisco, ma lo amo!”
    Amo su tutto la sua capacità di mostrare in ogni situazione il dettaglio perfetto: la mano che batte il tempo sulla radio, il piccolo Johan scrutato da dietro il materasso, il profilo più meraviglioso del seno di una donna, ecc ecc…
    La trama si evolve tra lacrime e pathos, voglia di evasione, potere, sottomissione, innocenza, il tutto amalgamato con grande profondità ed efficacia in questa pellicola che risulta, infine, l’ennesimo splendido e accattivante viaggio made in Sweden nei meandri dell’animo umano.
    Ps: come sempre su un grande film, grande recensione… Anch’io ci ho visto del “felliniano” e pure Kubrick, secondo me, prima di buttarsi nei corridoi di “Shining” un occhio a questo film deve averlo dato…
    Buena

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