Ohhh, ecco: finalmente, non solo ho potuto rivedere, senza addormentarmi, il film più celebre del regista tedesco Wim Wenders, ma ho potuto anche osservarlo al cinema; "Il cielo sopra Berlino", film del 1987, è un'opera complessa o, se preferite, semplicissima, purché la lasciate "scivolarvi addosso", un po' come qualche film già visto al Cinerofum (i "Fellini" per esempio...); tant'è che, personalmente, quando mi è caduto l'occhio su uno dei co-autori, ho temuto per il peggio; e non solo perché ancora stavo elaborando la peperonata "Luci d'inverno"...
Come si intuirà, il libro che ho letto recentemente di Peter Handke ("In una notte buia uscii dalla mia casa silenziosa"), mi ha colpito. Posso capire che sottenda una poetica così potente da disintegrare qualsiasi struttura comunemente riconosciuta, ma il succo è che, sensibilità letteraria o no, a tratti mi ha irritato, in altri non c'ho capito una fava. Se ci aggiungete che lo scrittore austriaco era anche esaurito ai tempi delle riprese di questo film...Riprese che, a quanto pare, furono allestite in fretta e furia per raccimolare qualche soldo, senza troppo badare al canovaccio "buttato giù", senza una sceneggiatura ben delineata; e allora...allora mi viene in mente che ciò che ho percepito guardando il film possa avere un causa. Un rapporto causa-effetto vecchio stampo che, in questo caso, salva la nostra Settima da superficiali esclamazioni del tipo "Quel regista è un mito, riprende così, a caso, improvvisa! Non c'è mai nulla di stabilito!". Ecco, come in quasi tutte le arti, quando non si vede...la pianificazione è stata ancora più profonda.
L'inizio del film mi ha illuso...le riprese aeree della capitala tedesca, testimoniano che Wenders, dietro ad una mdp, sa volare come il più elegante degli uccelli; la prima sequenza della trapezista è impressionante per delicatezza; così com'è dolcissimo aggirarsi per la Biblioteca di Stato se, seduti qui e là, ci sono angeli mai visti (riprese che restano negli occhi). Qua e là sprazzi di dialoghi che volano come veri e propri petali ben assortiti, però a volte ci si perde; lo spettatore sta ancora piacevolmente assimilando gli ultimi versi quando si accorge di non aver colto i successivi...
La scena che preferisco è quella in cui la trapezista, togliendosi la vestaglia, va verso la roulotte, concedendosi un'ultima piroetta con l'acrobata grassottello; così come è ottima la trovata del Tenente Colombo che interpreta se stesso (a testimonianza della necessità, più che avvertita dal regista che non dormiva la notte, di riempire gli spazi vuoti della sceneggiatura).
Sonata di Wenders innamorato della capitale tedesca divisa e deturpata, un intimo e ambizioso tributo; non so se completamente riuscito (ripetuto che, Wenders o Rilke, lo zampino di Handke c'è eccome). Ad esempio: che cosa penserebbe Wenders se sapesse che non ho assolutamente colto che 1- Damiel fosse innamorato della bella Marion, 2- il "ten. Colombo" fosse un ex-angelo? Ok, che sono un imbecille. E qui avrebbe ragione; per capire se c'è dell'altro, però, inizierò un cammino tra i suoi lavori (e quelli dei due co-sceneggiatori).
Vi tengo aggionati.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento