Qualche settimana fa, i soliti noti in sala Uander, ha fatto ingresso nella nostra iniziativa non-ufficiale un grande regista americano, italiano solo sino a 6 anni, quando dal paese natale nel Palermitano si allontanò verso l'America, bagaglio di speranze e bon. Francesco Rosario Capra, Frank per gli amici, nel 1937, convocando un altro (questi attore e inglese, però) che lasciò la propria terra con in tasca qualche penny e una manciata d'illusioni, realizzò un'avventura fantastica per raccontare al pubblico, certo non una cronaca realistica dei fatti, ma una ricostruzione del sogno che li portò a abbandonare le proprie radici. "Orizzonte perduto" di Frank Capra narra vicende di fantasia, lontane dai problemi della vita di tutti i giorni...ma tutti nascono con un'idea di felicità in testa, destinata a disgregarsi nell'atmosfera...
"Lost horizon" m'è capitato tra le mani grazie alla fugace foga cinematografica che travolse il buon Alvarùs. Fortunata coincidenza, ché le ragioni per vedere e conoscere questa pellicola sono molteplici. Film d'avventura appassionante (dal romanzo di James Hilton, adattato da Robert Riskin, non l'ultimo arrivato), coi primi passi nel mondo degli effetti speciali (volenterosi più che realistici, visti con gli occhi del 2000), con un primordiale anti-eroe alla Indiana Jones, capace di portare a casa la pellaccia più per testardaggine e scaltrezza che per preparazione fisica e/o militare; Ronald Colman impersona il classico personaggio che abita l'immaginario dei ragazzi appassionati di storie avventurose, perfetto come trampolino di lancio per la nostra mente bramosa di liberatori voli pindarici. Battuta secca, fascino, prontezza d'azione, non si lascia mai prendere dall'ansia, ma anche in grado di capire quando non c'è nulla da fare. Grandissimo. Poi c'è Shangri-La, luogo mitico che vale la pena di conoscere, non per vedere se davvero "un altro mondo è possibile", ma per instillare la sua idea nel nostro cuore, per usarla come dinamo, punto di partenza, non di arrivo, nella ricerca di qualche altro mondo, uno qualsiasi, visto che peggio di così...L'ottimismo di Capra favoletta ingenua ma fortemente desiderata, con qualche messaggio lievemente reazionario sotterraneo (lascio a voi scovarli, uno dei più superficiali di tutti è l'isolamento dai furesti che garantisce la purezza della società utopica Shangri-La). La stupenda scenografia mostra tutto lo sforzo e l'entusiasmo del regista e della troupe (Stephen Goosson, oscar) nel ricreare un mondo mitico che formalizzi il concetto stesso di felicità.
Finale bellissimo (esistono più versioni, interessanti gli extra), si assiste a una vera e propria climax ascendente d'emozioni, pubblico in sala col batticuore nel seguire affascinato la tenacia di Conway "Colman" nella cercare quella mitica terra. Vuoi per quella donna dal sorriso incancellabile, vuoi per quell'utopìa oltre le montagne a cui tutti vorremmo, e dovremmo, tendere.
(depa)
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