Freddo amore che arde

Dopo quasi sette anni, la sala Valéry ha restituito al Cinerofum ciò che la sala Blauzer gli porse e... poi nascose. In Coni Zugna, quella volta, cedemmo quasi tutti. Ma se "Gertrud", l'ultimo lavoro di Carl Theodor Dreyer, datato 1964, permette di estrarre il concetto di vedibilità (come al Farinotti, con un po' di leggerezza, nell'extra del DVD Ed. San Paolo), d'altro canto un'analisi attenta rivela un film più intenso e coinvolgente della prima apparenza. La lentezza dei movimenti e la recitazione essenziale dei pochi interpreti, non inficia la forza dei sentimenti e delle immagini sullo schermo, anzi, qui la scommessa conclusiva del regista danese, semmai la esalta, riuscendo a restituire l'immenso cuore, ma già solitario, abbandonato, di chi ha "molto amato".

La prima parola pronunciata, non sarebbe potuto esser "alt!", è il nome della travagliata protagonista (anima inquieta che, certo, non si presenta ballando la lambada con un negroni in mano). Gertrud ferita, frigida (ma come "lo faccio perché credo in te"?!) è "una strana donna" come tante. Innamorata di un amore che non esiste, cercherà un corpo vuoto cui donarsi, pronta a dar tutto a chi gli dia lo stesso. Non sono questi i tempi; successo personale e gratificazione individuale (il dio danaro è già lì, il primo, che accarezza il mento) sono a guardia di un sistema che non ammette diserzioni. Constatato il cupo dramma che vien dal freddo nord, però, mentre il cuore sta seduto a crucciarsi, l'occhio può spaziare nella magnificenza del visibile eccome.
E gustare l'avvicendarsi delle inquadrature, che son cambi di nota scritti ed orchestrati alla perfezione, con leggero effetto ipnotico. Per la bellezza del proscenio e dei long take allestiti, mi ri-perdonerà il Farinotti: quasi le parole, seppure del peso di quintali, scivolano agilmente verso il mio personalissimo secondo piano. Come accennato dal critico, i dialoghi spesso proclamano banalità romantico-esistenziali ("l'amore è solo una parola..."), di qui la mia idea che il regista non vi puntasse tutta la posta; anche se è vero che il suo intento potrebbe essere una spogliazione che restituisca l'autentica potenza. E significato. Parole che, tra l'altro, mai si guardano negli occhi. Né covano una qualche speranza ("Erland, riusciremo mai a parlare lo stesso linguaggio?", chiede sconsolata al suo giovane concubino).
La solennità di questo artefatto cinematografico, accompagnata da concetti e disperazioni della stessa stregua, la sua rigorosa eleganza, ne fanno un'opera che, in museo o biblioteca, verrebbe valutata come inestimabile.
Quando il presunto algido danese, sia esso bianco e nero, luce accecante o ombra misteriosa, può esplodere in fiamma che arde. E consuma.
(depa)

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