Dopo i saliscendi per le Orobie e il Tour estivo ed amichevole tra le isole del nord ovest, avevo proprio bisogno di ricompormi. E invece, ecco qui la sinfonia alla decomposizione che il regista gallese (toh! un saluto ai ragazzi eleganti e sfasciati di Llanilltud Fawr) Peter Greenaway, scrisse e diresse nel 1985: "Lo zoo di Venere" (t.o. "A zed & two noughts") è un altro dei suoi caleidoscopi audiovisivi, tra feticismo della materia (carne e altro) e piacere del riprodursi.
Nel cinema totale di Greenaway, queste immagini oggi potrebbero rimandare a David La Chapelle, titolo "Swan crash two die" (anche quattro vista la sberla del Liberty Stadium). Gambe e bambini, mercurio e gamberetti (rettili ed una sola zebra). Genesi e disfacimento, nell'85 e dalle parti dei "Cigno di Mare", esondarono sull'arte cinematografica. Natura, corpo e geometria (simmetria) si rincorsero tra frammenti variopinti (e musicali). Oswald e Oliver (Eric e Brian Deacon), siamesi uniti da una mezza (gigante) donna: zam zaM ZAM...
Riconosciuta, ancora una volta nell'amico P.G., la bellezza della colonna sonora (Michael Nyman) e, soprattutto, il suo ruolo di primissimo piano (primi piani altrimenti assenti, se non per gli esemplari animali, per una rappresentazione pittorica fedele a se stessa: Jan Vermeer, coi suoi vivi e un po' inquietanti momenti), c'è un ritmo feroce che scandisce le sequenze. La stessa coerenza sonora è ravvisabile nel finale in putrefazione. Difficile trovare le immagini di raccordo in questo divertissement potente e ripugnante, dove ogni "quadro" è giustapposto per gridare di sé.
Assieme al "Cuoco", il mio preferito: perché più accessibili?
(depa)
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