Cinema vuol dire godimento, che si porta appresso quel giusto di fatica. Quindi, nonostante la compagnia, dolce o speziata, mi stacco dal tappeto e m'incammino verso il "Corallo", dov'è l'ultimo di Emir Kusturica. "On the milky road", presentato a Venezia l'anno scorso, racconta in versi liberi la bellezza in tempi di guerra. Terra color luce gialloverdegrigia, animali che proteggono un segreto, corpi di donna che...e i sorrisi di chiunque: nonostante cannoni e bombe, in un "mondo che non fa così schifo", si può sopravvivere.
Pure la "Rasta International" a presentare queste "tre storie vere e altre fantasie" un po' svarionate, lo spettatore è ben avvisato. Intendo che il film mette in pratica, non "errori marchiani", bensì rappresentazioni allucinanti, che arte o dopa giustificano, legalizzano. "Svolazzi" del regista, direbbe qualcuno, licenze cinematografiche: libertà autoriali. Ma non v'è dubbio che molti storceranno il grugno. E precisamente quando, dopo i primi stupendi dieci minuti (un'intro bucolico balcanica che fa grande quella terra e questo regista), un orologio austroungarico ci catapulta, se non proprio nel surrealismo dei maestri (Fellini, Petri...etc), in quello degli imberbi allievi (Gondry, W. Anderson). Lo stesso supporto digitale (alta definizione) permette allo scalpitante regista jugoslavo le corse che covava (immagino "i suoi gatti", vent'anni dopo, con le nuove possibilità...). A volte il risultato è discutibile, come il suddetto orologio, simbolo ingombrante come d'uopo, ma qui troppo avulso. In altre, sorprendentemente riuscito, come durante le traversate a schiena di mulo (sorta di tributo al cinema comico picaresco), o nelle mielose evoluzioni aeree tra i due amanti (un appiccicoso intenso). Si può parlare, in effetti, anche di collage stilistico. Per questo è una forzatura, perdonabile, definire "drammatico" questo film. Come nella Via Lattea del titolo, differenti sono le stelle, per dimensioni ed intensità; Kusturica saltella da una all'altra cercando un effetto armonico che, come quando suona strumenti musicali (o bottiglie) differenti, raggiunge grazie a tenacia, spregiudicatezza e sensibilità. La storia del lattaio errante su di un mulo tra molteplici bellezze naturali (floreali, faunistiche e...femminili!) e i proiettili, può essere dolce come il sorriso finalmente ironico di una Bellucci finalmente "vecchia" (incredibilmente tendente alla Sandrelli, come dire che le belle donne, seppur diverse, si ricoprono della stessa veste), potente come l'energia della serba Sloboda Micalovic, bizzarra come i colonnello o il gallo. Non tutto è robusto, non so se il regista si "offenderebbe se qualcuno lo chiamasse un tentativo", ma ritengo non si tratti nemmeno di un film sbagliato.
(depa)
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