La musica dell'heimat

Le festività a cavallo del primo dell'anno possono tornare utili. E' possibile, ad esempio, sfruttare le ore video a disposizione, per proseguire il lungo racconto iniziato nel 1984 dal regista tedesco Edgar Reitz e proseguito nel 1992 col secondo capitolo, "Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza". 13 film, 25 ore e mezza, più di un giorno da trascorrere con la musica del ricordo.

Ripartiamo dal povero Hermann Simon distrutto d'amore, dai suoi parossismi giovanili ("Ho chiuso con l'amore!") e la sua consacrazione alla musica, la grande protagonista di questo secondo racconto. E sarà "l'era delle prime canzoni". Il tempo e la dimensione del ricordo (bianco e nero già passato). Ora si va veloci: le immagini, lontano dall'Hunsrück, corrono via come le mani sui bianchi e neri del pianoforte. Davanti: "la libertà" ("non dalla madre, ma dalla sua testa"). "La storia la fanno gli uomini e i loro amici". La religione come "peccato giovanile". Nuovi tempi. Un arrivo a Monaco da favola: l'ingessatissimo, impaurito e stralunato Hermann riuscirà a trasformare in benzina l'eccitazione per l'immensa nuova avventura. "Gli artisti sì che lavorano duro". Altri tempi, decisamente. Dalla pittura paesaggistica a quella concreta, realistica e metropolitana (München). Sprazzi d'espressionismo (la candela del secondo episodio). Affresco di personaggi cui affezionarsi: Edel, Alex, la signora Moretti... Alcuni spariranno alla deriva della vita, altri ci accompagneranno ancora a lungo (fluidità e intensità di racconto). Frattanto, movimenti macchina sinuosi e disposizione scenografica sempre curata. In primo piano: i tanti errori dell'irrequieto Hermann. Sullo sfondo: l'amore idilliaco, immediato e assoluto, tra Evelyne e Ansgar; il male di vivere di Clarissa; quello di Reinhard; il rifiuto di crescere della sig.ra Cerphal. Su tutto: le situazioni musicali che ci ingolosiscono con un "Entra!".
La mitica comunità della "Tana della volpe", con la sua energia, forza, ricerca, spinta... Alcune scene rimbombano di poesia, mai intaccata da una naturalezza che, in alcuni casi, rasenta l'improvvisazione. Questa sorta di "meglio gioventù artistica" bavarese, viene raccontata da Reitz tramite una struttura raffinata, in cui i flashback s'incastrano coi pezzi del puzzle, i personaggi entrano ed escono, schivandosi e scontrandosi. L'estenuante amore tra Hermann e Clarissa. L'heimat che, nella sua semplicità, scalda il cuore, si chiama Schnüsschen (Waltraud!), sarà miele rinchiudersi in lei, diverrà fiele nella Puttana Babilonia che tutto deprava; la cupezza dell'aborto; l'insospettabile cedimento del dolce e puro Juan. La vita di Hermann diventata convenzione (la sua scossa, la ricaduta). La fine dell'illusione.

Nell'extra "Heimat - la macchina del tempo", il regista spiega la sua necessità di estraniarsi dal personaggio, nonostante i molti elementi autobiografici; "ambientare" Hermann e la sua decade di formazione in un paesaggio musicale (non cinematografico), fu una scelta obbligata. Inoltre, nella stessa appendice, è possibile fare una chiacchierata con l'attore Henry Arnold, il quale, in un italiano impeccabile, rievoca quei giorni di lavorazione e il suo Hermann Simon "spontaneo, un po' naif". Infine Moretti racconterà la sua scelta, in accordo con la Mikado distribuzioni, di una programmazione settimanale per la televisione italiana e della leggerea protesta di Reitz, il quale propendeva per una visione in sessione unica, sorta di "maratona" effettivamente approntata in qualche cinema qui e là per lo Stivale (la sala Valéry si felicita di averlo accontentato).
(depa)

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