Qualche sabato fa, di quelli grigi che-si-fa-boh, mi sorge naturale proporre un cinemino a Bubu e Pa', cui si aggiunge pure Gianna, siamo un bel gruppetto. C'è l'ultimo di Joel ed Ethan Coen, al "City": "A proposito di Davis", pellicola che soddisfa chi vuole immergersi nell'atmosfera folk più calda, nell'ironia più matura, di chi racconta l'ennesima giornata unica di chiunque, cogliendone assurdità e comicità. E' il whisky che fa affiorare un ghigno su di un volto esperto.
Presentatomi come un Coen "sottoverve", meno ironico degli altri loro, entro in sala stranamente fiducioso. Il cinema dei "Fratelli" statunitensi mi piace sempre, anche quando sonnolento faccio un po' fatica, ma vorrei essere forte, in quei momenti, perché capisco che sullo schermo sta passando il bello che potrebbe esserci. Figurarsi il mio piacere, quindi, nel godermi questa dolce amara storia al fianco del nostro nuovo eroe per meno di due ore. Davis è un grande, tiene duro, nouvellevagando (come colse Bubu, sintetizzando i miei arzigogoli) spavaldo sotto pioggia, sicuro della propria stella, per adesso ancora spenta. Grande epoca musicale (culturale), quella là statunitense, '50-'60. Considerazioni spicce ma pur sempre cariche di fascino: quanti ce ne saranno stati? E chi decideva? Quanti grandi silenziosi e quanti abili starnazzoni? I Coen si limitano ad invitarci alla finestra, mostrando lo sfondo e la loro fresca avvolgente ultima creazione, fatta di situazioni sormontate da succulenti punti interrogativi, cosparse di euforici punti esclamativi. I dialoghi sono spezia perfetta, classica coeniana, ma i silenzi del protagonista, soprattutto, tengono compagnia. Tributo a quei travagli musicali finiti male, così come a quel bastar a sé che oggi pare inimmaginabile. Degni sofferenti, diciamo. L'equilibrio che sorprende è quello per cui, se il nostro Davis sia un genio o una ciofeca, lo deciderà lo spettatore. Io ho creduto in Llewyn (il guatemalteco Oscar Isaac, classe 79), con me basta poco, quelle note così sentite, unite alle ombre e ai volti dei Coen, non mi hanno certo trattenuto dal ridere (sempre meno della minisala) ogniqualvolta Llewyn cadesse, ma anche spinto a sussurragli "dai, dai" tosto dopo.
Non sono riuscito, nel frattempo, a trovare punti deboli (forse, la conclusione una decina di minuti prima, meno ad effetto, ma più soffice); lo consiglio perché è esponente di un cinema che ha coscienza di sé, sa su cosa puntare e spinge al massimo in quelle direzioni, raggiungendo picchi di qualità.
Corre la mente al recente tedesco "caffè a Berlino", i punti in comune ci sono. Da vedere entrambi.
(depa)
Pellicola che mi ha lasciato soddisfatto: piena e viva.
RispondiEliminaSolo questo ricordo, purtroppo. E' passato troppo tempo e il ricordo di altri film ha scacciato quella di questo (prima devo scrivere e poi guardare altri filmesse, azz!!!), quindi mi limito solo a ringraziare depa e co. per la compagnia, a consigliarlo e magari poi fatemi sapere... Iya man!