Ieri sera, il regista americano, originario del Nevada, John Huston è voluto passare in sala Uander per mostrarci quello che, da molti appassionati, viene indicato come suo film più rappresentativo: "Giungla d'asfalto" è una pellicola del 1950, in cui viene mostrata in maniera lineare e dettagliata una rapina ad una gioielleria. Il finale, ovviamente, non trapelerà da questa recensione; il piacere provato dal pubblico in sala, invece, sì.
Extra: Godard vs IBM...
Ieri pomeriggio, solo soletto, ho potuto porre un altro tassello godardiano sulla mia personale parete dedicata al creativo e stravagante regista francese: "Agente Lemmy Caution: missione Alphaville" (solo "Alphaville" per gli amici) è un film del 1965 (il nono lavoro da quel primo, fulminante, "À bout de souffle" che lasciò tutti senza respiro), contemporaneo al "folle Piero", nel quale Jean-Luc Godard è parso impiastricciarsi come un bambino (molto maturo, certo) coi colori "fantascienza", "poliziesco" e "noir". Ovviamente c'è molto altro, dietro a questo bianco e nero angosciante, nel quale si aggirano sereni e stupidi gli abitanti-prigionieri di "Alphaville"...
Colazione da Tiffany
Recensione LXXXIV:
Il Cinerofum vuole capire. La nostra iniziativa si è spesso interrogata sulle cause di un successo cinematografico che pare essere arrivato (a causa, forse, dell'evidente maturità raggiunta dai mestieranti d'oggi nel campo del merchandising), solo negli ultimi anni. Schiere di affannati a nominare Audrey Hepburn e Tiffany senza sapere chi o cosa siano, di corsa a comprare un gadget con la filiforme stella hollywoodiana (nata europea, eccome) che fuma la sua "siga" a distanza, senza aver visto "Colazione da Tiffany" (1961), senza sapere chi sia Blake Edwards né Truman Capote...scherzo dai, tutti hanno visto il film e sanno chi ne siano gli artefici.
Il Cinerofum vuole capire. La nostra iniziativa si è spesso interrogata sulle cause di un successo cinematografico che pare essere arrivato (a causa, forse, dell'evidente maturità raggiunta dai mestieranti d'oggi nel campo del merchandising), solo negli ultimi anni. Schiere di affannati a nominare Audrey Hepburn e Tiffany senza sapere chi o cosa siano, di corsa a comprare un gadget con la filiforme stella hollywoodiana (nata europea, eccome) che fuma la sua "siga" a distanza, senza aver visto "Colazione da Tiffany" (1961), senza sapere chi sia Blake Edwards né Truman Capote...scherzo dai, tutti hanno visto il film e sanno chi ne siano gli artefici.
Extra: tributo fantastico, Woody
Allora, dovete capirmi: non è cosa da poco scoprire di potersi innamorare una seconda volta. La prima quando, piano piano, presi coscienza di ciò che stava scorrendo davanti ai miei occhi: il primo film che vidi. La seconda, ieri. Arrivato a casa con gli uccellini nelle orecchie, dopo aver visto "Le Havre", ci mancava anche che Woody Allen mi stendesse definitivamente col suo dolcissimo tributo alla magica macchina del Cinema: "La rosa purpurea del Cairo", del 1985, è un prezioso gioiello che fa ridere (strano, eh?, per un film dell'autore newyorkese), commuovere e fantasticare, sì, soprattutto volare, sopra le nostre piatte vite tridimensionali.
Extra: "Miracolo" solo per l'Italia
Pomeriggio grigio freddo milanese, per scaldarsi niente di meglio che un piccolo cinema nascosto, di quelli old-style, "parrocchiali", sala minuscola e cassiere assonnato tra confezioni di caramelle...che bello il Centrale di via Torino! In programmazione, con tenacia, sempre film di buon livello. Ieri, emozionato come un bambino che sta per scartare il regalo agognato, circumnavigando parte dell'arco sinistro del Tempio di San Sebastiano, sono andato a vedere l'ultimo di Aki Kaurismäki, "Miracolo a Le Havre", facendo, come sempre, il pieno d'ottimo cinema e di sincero e giusto cuore.
Extra: Quell'oscura chitarra che suona lei
Sala Uander, ieri sera, film d'autore, Io, Elena. Solita combinazione iniziale, dalla quale, la magica macchina cinema, mescolato il tutto, questa volta ha generato: "Quell'oscuro oggetto del desiderio", Luis Buñuel, 1977. L'ultimo film del visionario regista spagnolo non delude le aspettative e, tra simbolismo inesistente e concreta conoscenza dell'incantesimo con cui una donna può incatenare a sé un uomo, lascia lo spettatore intontito e affascinato, punti interrogativi sulla testa, alcuni dei quali sapientemente rimossi all'istante, altri che rimangono lì...
Extra: Il "minore" di Kaurismäki
Fiùùù, che sospiro di sollievo; ora vi spiego perché. Come ormai saprete, la sala Uander è completamente assuefatta dal cinema di Aki Kaurismäki, freddo fuori, caldo dentro, e io ed Elena ormai sembriamo due segugi intenti a spazzolare tutta la filmografia del grande regista finlandese (alla ricerca, tra l'altro, del suo primo passo falso); proprio seguendo questa pista, ieri sera, ci siamo imbattuti in questo "Los Angeles senza meta". Mai titolo più azzeccato, quindi, sia per classificare la nostra metodologia di ricerca poco accurata, sia, purtroppo, per descrivere la pellicola che ci si è sbobinata davanti...
Extra: quando Rossellini giocò (neppure tanto...)
L'altro ieri il Cinerofum s'è bardato per bene, giubbotto pesante, sciarpa e cappellino, per andare all'Oberdan a vedersi un Rossellini dal titolo tutt'altro che roboante; una pellicola che, di certo, non viene annoverata tra i suoi Grandi Lavori ma che, nella sua leggerezza, sottende temi profondi e, soprattutto, lo stile delicato-incantato-vero del regista romano. "La macchina ammazza cattivi" è una favola ambientata in una meravigliosa Maiori (vicino ad Amalfi), iniziata nel 1948, finita nel 1952, con tanto di morale finale.
Extra: Léaud & Strummer sussurrano "Vivi!"
Il Cinerofum, è evidente, si è preso una cotta paurosa; è in trance! Pura "Aki Kaurismäki mania", voglia di cinema che fa sognare con eleganza, che ironizza con intelligenza, che si ferma sulle espressioni, che è innamorato della musica e del conforto che può dare. "Ho affittato un killer", del 1990, è uno dei primi film con cui il regista si è fatto conoscere in Italia e, in effetti, è un biglietto da visita completo.
Extra: Favola finlandese d'amore e popolo
Che film quello che è stato proiettato in sala Uander giovedì scorso! Ormai ci fidiamo del regista Aki Kaurismäki; ciò nonostante, ricordo bene lo sguardo titubante di Elena, il suo tentennare di fronte alla scelta della pellicola. Ebbene, ora è lì che cerca nelle sale milanesi l'ultimo lavoro del regista finlandese, che s'informa sulla sua filmografia per non lasciarsi sfuggire alcuno dei quadri poetici, ricchi d'amore e rabbia sussurrati, posati lì al sole, pronti per essere colti da chi li sa riconoscere. "L'uomo senza passato", del 2002, ci ha emozionato, pelle d'oca dopo la scena finale*, ed è entrato nella nostra stupida, inutile e personale "film preferiti".
Extra: Liberté di Kieślowski
Qualche sera fa, sala Uander, io ed Elena: i soliti tre graditi ingredienti. La ricetta questa volta ha previsto anche un bellissimo film del regista polacco Krzysztof Kieślowski che, nel 1993, diede il via a quella trilogia che lo rese celebre e con la quale il regista classe 1941 si congedò dal mondo dei vivi, oltre che da quello nostro cinematografico amato. Il primo film dei tre film ("Film blu", "Film bianco" e "Film rosso", richiamo alla bandiera francese) ha il colore della Liberté, di quel cielo che nulla ostacola, di quell'acqua, ottimo conduttore, che può anche isolarci, se la musica viene da dentro.
Extra: truce soffio cinese
In una sala Uander assediata dal gelo e dalla neve, fa il suo ingresso nella nostra inziativa il regista che viene dal cuore della Cina: Zhang Yimou, nato nel 1951 a Xi'an, con "Lanterne rosse" completò il suo quarto lavoro, nel 1991. Di questo film si sente ancora l'eco delle lodi che lo innalzarono tra i capolavori, quando uscì, pur non vincendo il Leone d'Oro; quindi abbiamo tappato anche questo buco, per poter dire la nostra: davvero così eccellente? Uhm...leggiamo.
Black Block
Sala Uander "antagonista" ieri sera. "Anarco-insurrezionalista". Cinerofum che si documenta, che in realtà certe cose ormai le ha capite, ma che vuole continuare a ricordare, aggredendo l'oblio naturale del tempo e quello indotto, quello causato dal sovraccumulo, nelle nostre teste, delle parole "crisi", "spese", "gol", "cazzi propri", "tasche proprie"...eppure, a parte i gol, le altre parole, tutti i vari "propri" possibili, sono legate a doppio filo con quello che veniva deciso (e, soprattutto, NON veniva deciso) nei giorni di fine Luglio 2001 nel Palazzo Ducale di Genova e, quindi, con ciò che successe fuori dallo stesso. "Black Block", del regista genovese Bachschmidt, classe '65, è un documentario che dev'essere guardato periodicamente, video-monito.
Iscriviti a:
Post (Atom)