The Killer

Filmsoirée LXXIII:
Ieri sera al rofum, per rinfoltire un po' la truppa, abbiamo arruolato pure Mr Brown, fate vobis. Fortunello il nostro compare di Paderno Dugnano, dal momento che, per l'occasione, ha fatto ingresso nella nostra iniziativa un grande rappresentate della Settima, proveniente dell'estremo oriente: John Woo. Il regista cinese si presenta in sala Uander con una delle sue pellicole più rappresentative: "The Killer", del 1989. Americanata o capolavoro, film culto o  stra-sopravvalutato, pagliacciata al sapore d'albero di pesco o originale rilettura dei grandi polizieschi..."The Killer" deve essere visto.
Questo film appartiene all'ultimo periodo, quello più maturo, della produzione in madre patria del regista (prima di approdare, con grande clamore, dall'altra parte del Pacifico, con film che dovremo rivedere per trovarvi qualcosa di interessante: "Face/Off", "Broken Arrow", "Mission Impossible II"...). Qualcuno potrebbe storcere il naso e sottolineare proprio alcune ingenuità del regista, in questo film, come l'eccessiva teatralità di alcune sparatorie, o alcuni passaggi molto prevedibili (come la scena in cui la telecamera attraversa, dall'esterno del palazzo, le varie finestre che danno su un interno: di volta in volta appare prima il poliziotto, poi il ladro; molto efficace, tra l'altro), ma, personalmente, ritengo che la bravura di Woo venga fuori proprio in questa sua capacità di percorrere strade già battute (si badi bene, lontano dall'essere la sua peculiarità principe!) con un risultato finale d'altissimo livello.
In alcuni casi il regista, inventa, in altri, reinterpreta (mettendo in atto quell'esercizio che han fatto tutti i registi del passato, anche il primo, ispirandosi a maestri della pittura, della fotografia, del teatro; compreso Tarantino, il più apprezzato dai giovani, inevitabilmente più suscettibili) tramite sé ciò che il cinema ebbe trasmesso sino a quel 1989. Quindi, c'è "Mean Streets" coi suoi crocifissi insaguinati (qui al posto di Harvey Keitel c'è l'ottimo Chow Yun-Fat) e altro (Peckipah, che non abbiamo ancora invitato sui nostri divani), ma il tutto è rivisitato senza che allo spettatore (anche il più navigato) vengano vertigini da deja-vu. Il rallenti nelle sparatorie e la brutta situazione in cui due si puntano la pistola contemporaneamente (in inglese gli hanno dato un nome...) sembrano merce propria del regista, ma il punto qui non è dimostrare che quella scena era già vista. Il film in sala è risultato godibilissimo, con alcune scene che ci hanno lasciati col fiato sospeso, altre che creano quadretti davvero indimenticabili: quella in la protagonista femminile e quello maschile si cercano strisciando a terra senza riuscire ad incontrarsi (mitica); quella in cui poliziotto e killer si tengono sotto tiro senza turbare la povera cantante...geniale; quella in cui gli stessi si cercano tra i letti, tra le tende dell'ospedale...perfetta per montaggio e ripresa.
Altro esempio, la scena in cui, all'ospedale, la bambina ferita da un proiettile in spiaggia: di solito lo spettatore, volente o nolente, è istintivamente spinto a "scommettere" sul finale della scena; in questo caso, niente di tutto ciò, non si è in grado di prevedere le sorti della bambina. Ci accorgiamo subito che la scelta più dolce da parte nostra è quella di aspettare con calma l'esito dei fatti, suspence pura, pura emozione cinematografica.
Forse la sparatoria finale nella chiesa è un po' forzata ma, come detto, se l'avesse "stroppiata" un altro regista, senza la delicatezza ed il senso cinematografico del regista cinese, ne sarebbe uscito un film inguardabile...
Secondo me (forse meno dopo l'ubriacatura di luci hollywodiane) John Woo è un regista che può appoggiarsi ad una delle colonne del Partenone Cinematografico. A voi li la scelta, se una colonna portante o una più laterale...
(depa)

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