Parliamo un po' di questo "capolavoro" del regista statunitense Terrence Malick, fresco vincitore dell'ultimo (il 64°) Festival di Cannes: "L'albero della vita". Il grande regista "di culto" (eh sì, da ieri sera anche per me questo tizio è un genio, poi capirete perché) si permette di strappare la Palma d'oro ai Fratelli Dardenne ("Il ragazzo con la bicicletta", quello sì, è un grande opera) con un film irritante quanto imbarazzante.
Inizia il film e si capisce benissimo dove sta andando a parare e quali errori grossolani sta compiendo il grandissimo Malick: frasi scontate sussurrate, sfilza di immagini di vario genere (naturalistiche, digitali e non, cellulari, organiche, chiamatele come volete...) che sembrano uscite da quei video su Youtube in cui un tizio senza lavoro fa sfoggio delle proprie abilità in ambito elaborazione video; peggio, perché durante tutto il film c'è anche il messaggio religioso (cattolico prevalentemente) che dissemina "Spera, fa' del bene, merita", il tutto avvolto nel più banale dei "Da cosa nasce cosa, ama ora" con il classico sfondo alla "Carpe diem". Allora, il seguito di questa recensione dovrà essere letto mentalmente con l'accento genovese di Grillo o, se preferite, del baciccia del tonno Insuperabile: ma belìn ragazzi! E' una cosa pazzesca! Ma come si permette 'sto Terrence? Ma chi è? Ma che premio c'è a Cannes? Ma per chi ci hai presi? Gente, nemmeno uno Sgarbi o un Mughini avrebbero saputo creare una schifezza tanto piena di sé! Due ore di messa per 'sto fratello morto! BASTA!". Quando mi propinano immagini varie mi posso anche rilassare (lungi dal pensare che il regista sia un mago, né l'addetto alla fotografia), ma se piazzi una foglia con le gocce di rugiada seguita da una staccionata con dell'edera sopra sussurrandomi (nel caso non l'avessi capito) che la morte fa parte della vita, beh, allora m'inizio ad incazzare, se poi mi servi musica classica come accompagnamento di una corsa di bambini che si inseguono sui prati beh, quasi quasi rido...
E non ero l'unico, in sala alla fine, giuro, grasse risate. Se non fosse che c'è poco da ridere, qui c'è gente che cita Kubrick (perché il nostro in questo film ha anche piazzato eccellenti immagini di "albe universali": il continuo risorgere del pianeta della vita...sto male!), che parla di visione delicata ed incantata del continuo fluire vitale...Ma cos'è successo? Niente, un secolo di cinema è andato a farsi benedire, dopo "Here After" del grandissimo Clint, ora c'è il capolavoro di Terrence...alè!
Se penso che sono andato a vedere questo film al posto di "Qualunquemente", mi viene voglia di buttarmi dal ponte monumentale, fate vobis (non guardatelo nemmeno con una pistola puntata alla tempia!*); e se mi viene in mente che in cinema più seri del Plinius di Milano ci sono film come quello dei Dardenne, mi domando chi ci fosse nella giuria del festival della Costa Azzurra, mi domando chi ci tiene davvero alla Settima...non certo il nostro mitico guru Malick che, ora ho capito il motivo, credo bene che sia sfuggevole e non ami farsi vedere: dovrebbe avere taglie sulla testa in ogni festival e sala cinematografica del mondo.
Questo "Tree of life" è una cagata pazzesca.
(depa)
*no, dai, guardatelo pure, ditemi la Vostra...
*no, dai, guardatelo pure, ditemi la Vostra...
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RispondiEliminaPrendendo spunto da giudizi positivi percepiti qua e là (alla sommità dei quali giace come un macigno quella ridicola Palma d'Oro), sento il bisogno di rimpinguare la mia analisi per cercare di far sì che non rischi di rientrare nei più banali dei "A me è piaciuto, a te no", quel buono e caro "De gustibus" che da millenni ha sedato risse ed ammutolito focosi ed innamorati, di quella o quell'altra disciplina, critici.
RispondiEliminaDire che Three of Life non è un film semplice e che, quindi, sia di difficile comprensione, con l'intento di alzarlo su un piedistallo irraggiungibile dai più (non per i membri della giuria di Cannes, tra l'altro...) è inesatto, non perché mira ad una difesa che ritengo impossibile, ma perché il film è inequivocabilmente semplice, comprensibilissimo; è proprio questo il punto: è di una banalità sconcertante. Nulla viene sottinteso, con scarsa considerazione del suo pubblico (ricco di veri e propri fanatici che inneggiano al loro nuovo santone, che "non si vede maiin giro!"), Malick ci propina, in questo film, audiotitoli per non vedenti e, nel caso qualcuno sia rimasto sveglio, immagini chiarificatrici (vedi spermatozoi che fanno ricominciare il giro della vita...).
A chi tira in ballo Kubrick (solo perché nostro "Nuovo Idolo" ha provato inequivocabilmente a fare questo passo lungo 10 sue gambe), dico che Kubrick non suggeriva proprio nulla, ma ammetto che una cosa li accomuna: l'ambizione. Kubrick è stato IL regista dell'ambizione. Maestosi i suoi lavori, mai meri raccconti di fatti, ma sempre vere e proprie parabole (le sue sì, non "parabolle") dell'animale uomo, del pianeta terra, insomma, del creato. Opere in cui il regista americano chiedeva allo spettatore quanto dava. Lungi da quel "vivere l'esperienza in sala" tanto acclamato dai pro-Malick. Un film come "Three Of Life" Kubrick non l'avrebbe fatto meglio, non l'avrebbe fatto proprio. "Full Metal Jacket" è un'esperienza forte, "Three of life" è una dura prova di stomaco.
Poi ragazzi, nel caso c'è sempre la boa "Non disputandum est", felici e contenti.