"L'amico di famiglia" di Paolo Sorrentino, 2006.
E' il primo film che vedo del quarantenne regista napoletano. E' il suo terzo film, dopo "Le conseguenze dell'amore" davanti al quale crollai due volte ed infine mi arresi.
I titoli iniziali del film sono molto belli per colonna sonora (se non ricordo male anche il film precedente fu molto attento alle musiche; Apix mi passò il cd, mix orecchiabile di musica elettronica e soft) e per fotografia (Luca Bigazzi). Il regista si diverte a somministrarci immagini al rallentatore, o statiche, colme di simbologie e significati nascosti (la suora sepolta fino al collo sotto la sabbia, giocatrici di pallavolo, il cavallo accasciato...!?). La camera la sa muovere ottimamente, le meningi degli spettatori, un po' meno. Sarà, ma poco ci ho capito.
Per tutto il film immagini che troviamo rassicuranti in quanto più hollywoodiane delle nostrane da sit-com, sia nei colori, sia nelle dinamiche (la scena in cui Geremia entra in casa attraversando il primo piano del cortile interno della palazzina a schiera, con la camera che "gli va incontro", è carica d'effetto).E' il primo film che vedo del quarantenne regista napoletano. E' il suo terzo film, dopo "Le conseguenze dell'amore" davanti al quale crollai due volte ed infine mi arresi.
I titoli iniziali del film sono molto belli per colonna sonora (se non ricordo male anche il film precedente fu molto attento alle musiche; Apix mi passò il cd, mix orecchiabile di musica elettronica e soft) e per fotografia (Luca Bigazzi). Il regista si diverte a somministrarci immagini al rallentatore, o statiche, colme di simbologie e significati nascosti (la suora sepolta fino al collo sotto la sabbia, giocatrici di pallavolo, il cavallo accasciato...!?). La camera la sa muovere ottimamente, le meningi degli spettatori, un po' meno. Sarà, ma poco ci ho capito.
Comunque, il film parte bene, in quanto i colori di Sabaudia e l'alone che circonda il protagonista Geremia (Giacomo Rizzo, premio Alberto Sordi '06 per questo film), riescono a catturare totalmente lo spettatore. Proprio il protagonista, sacchetto sempre in mano (ma che ci sarà lì dentro?), scolorisce e macchia un po' tutto ciò che lo circonda sulla pellicola, è viscido, è un farabbutto, ma, effettivamente, il regista riesce nel difficile compito di rendercelo più "vicino" e "simpatico" degli altri personaggi, che via via passano sempre più da penosa carne da macello ad autentiche e colpevoli dinamo di un sistema marcio ed innarrestabile senza una profonda presa di coscienza di tutte le parti in gioco.
Ottimo ritmo, ma la trama alla lunga perde qualche colpo. L'incontro nella roulotte intravisto dal protagonista...perché Geremia scappa? Come fa ad incontrare i truffatori per strada, per caso?
Il finale poi...mi ha lasciato un po' d'amaro in bocca. Mi è sembrato frettoloso e non esaustivo.
Da vedere per conoscere dagli albori la carriera di un regista che avrà qualcosa da raccontarci.
Quando volete, sono a disposizione per gli altri suoi ("L'uomo in più", 2001, in primis).
Ciaps
(depa)
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